Bonifacio e Giulio, un’eredità difficile
Bonifacio, chiavi e triregno Muore, l’11 ottobre 1303, in Vaticano, rabbiosamente sbattendo la testa contro il muro. Così l’aneddotica, che non ha mai risparmiato dal secolo XIV le peggiori accuse contro Bonifacio: “principe de’ nuovi farisei”, per Dante, che lo fa dannato prima della morte fra i simoniaci nell’Inferno. Per non parlare dei Colonna, di fra’ Jacopone da Todi, e di Filippo IV di Francia capace di inscenare un processo post mortem contro di lui. Fra i tanti peccati attribuitigli, forse il maggiore è quello di aver plagiato il vecchio e santo predecessore Celestino V convincendolo ad abdicare per prenderne il posto. Insomma, una autentica leggenda “nera” in cui non è facile districarsi fra verità e menzogna e fra opposte visioni di chi lo vede come un “martire” e di chi lo giudica un nostalgico (e fallito) campione della “teocrazia medioevale”. Certo, è difficile emettere un giudizio sereno su questo nobile laziale, grande esperto di diritto, prepotente e ambizioso: primo fra i papi a farsi ritrarre da vivo in statue sparse fra chiese e città come “segno” della sua vigile presenza e dell'”autorità delle chiavi”. Atteggiamenti per noi oggi impensabili, ma logici in un’epoca e in una respublica christiana in cui il papa, da Innocenzo III in poi, si sente detentore di un potere che è insieme spirituale e temporale. C’è in Bonifacio infatti una difesa “intransigente dell’universalismo e dell’ecumenismo di un’autorità superiore agli stati, un problema che si affaccia anche oggi: superare i poteri statali nazionali” – come pensa Franco Cardini – che gli viene dall’esperienza di un ideale comune a Papato e Impero nella sua epoca. Documenti come la celebre Bolla Unam Sanctam (1302) si riallacciano a questa visione, pur nell’affermazione categorica della superiorità papale nello spirituale e nel temporale, accentuata nei papi del secolo XIII. La tragedia di Bonifacio è stata di scontrarsi contro la monarchia francese, uscendone sconfitto, perché si è posto contro la formazione degli stati nazionali che “incrinò la compattezza dei cristiani e a lungo andare portò alle fratture della Riforma”, sempre secondo Cardini. In questo conflitto il papa mostrò, accanto all’inflessibilità verso gli avversari, un coraggio personale che dice la concezione fortemente idealizzata che aveva del proprio ruolo, quando, invaso il palazzo papale di Anagni (7 settembre 1303), si presentò ai nemici francesi e colonnesi in tutta la “gloria” pontificale, dicendo agli aggressori che l’insultavano: “Ec le cap, Ec le col” pronto a morire per Cristo. Se anche Dante nel Paradiso si commosse per la gravità dell’episodio vedendo in Bonifacio Cristo di nuovo oltraggiato, si deve ammettere che in questo caso il discusso pontefice dette una forte testimonianza di fede. Come lo fu pure l’intuizione del Giubileo del 1300, in cui il papa coglie l’attesa penitenziale delle folle e dà una risposta di alto valore spirituale. Nello stesso tempo, fondando lo “studium” della Sapienza – l’università – dimostra di guardare Roma con occhio nuovo, riscoprendone l’aspetto classico e imperiale: il 1300 si può anche considerare la data di nascita dell’Umanesimo. Figura tragica e grandiosa insieme quindi, questa di Bonifacio: spartiacque fra Medioevo e Modernità. Certo, per noi diversi atteggiamenti di carattere e di governo suoi risultano poco evangelici, come pure il peso eccessivo dato al ruolo politico del papato. Di lui resta, accanto al rammarico per non aver saputo cogliere i “segni dei tempi” che esigevano una chiesa più spirituale, la testimonianza di una fortezza d’animo di fronte ai pericoli e l’avere accolto il grande bisogno di perdono delle masse, che costituisce l’essenza più intima del cristianesimo. Giulio, arte & politica Il 31 ottobre 1503, in poche ore, Giuliano della Rovere diventa papa Giulio II. Ha sessant’anni, è cardinale da quando ne aveva ventotto: lo chiamano il “terribile” per forza fisica e vastità di progetti; più che un sacerdote, è un capo di stato dalla lunga esperienza politica e militare. Ed è il papa di una grande stagione d’arte: ha obbligato, litigando aspramente, Michelangelo a dipingere la volta della Cappella Sistina, si è fatto ritrarre da Raffaello nelle Stanze (il suo appartamento) con tono più energico che orante, ha affidato a Bramante la “nuova” San Pietro. Non è un santo, ma un condottiero che guida un esercito e va all’assedio. Non è un asceta medievale – il suo è un passato mondano -; e bisogna sconfessare la definizione del Pastor di lui come “salvatore del papato”, perché risente sia del confronto col predecessore Alessandro VI – un Borgia -, sia della sopravvalutazione del suo operato politico, mentre per un papa dovrebbe contare maggiormente l’aspetto spirituale. Nel quale l’azione di Giulio è poco significativa, come già notavano i contemporanei se, alla sua morte, comparve un libello – Julius exsclusus a coelo – Giulio cacciato dal paradiso – che ne condannava l’operato militaresco e la facilità di usare scomuniche e interdetti per fini terreni. Eppure, quest’uomo, in punto di morte chiede perdono ai cardinali per il suo comportamento, ha la lucidità di disporre le sue esequie, e affronta il trapasso con serenità: tutta Roma lo piange e lo va a venerare in San Pietro. Il fatto è che Giulio è uomo del suo tempo, in cui la commistione tra fede e politica è cosa abituale, e lo stesso ruolo pontificale si gioca sullo scacchiere della politica più che sul vangelo. Ed è questa forse l’ottica sotto cui va visto l’agire di Giulio, per il quale la missione spirituale abbisognava di una forte compagine territoriale, per la propria indipendenza. Di qui il ricorso alla guerra contro sudditi ribelli – i bolognesi in particolare – coinvolgendo altri stati cristiani con una spregiudicatezza che se riunifica lo Stato pontificio, produce tuttavia, da parte di alcuni cardinali, un ribelle Concilio a Pisa: cui il papa risponde convocando il Lateranense V nel 1512. Oggi, si guarda a questo Concilio papale come ad una grande occasione perduta prima della riforma di Lutero. Se infatti fu evitato lo scisma – e questo fa intendere che a Giulio l’unità della chiesa stava giustamente a cuore -, pure il papa non percepì l’opportunità per una decisa riforma, come sarebbe stato nel suo carattere, se avesse colto i “segni dei tempi”. Figura dunque non ideale di pontefice, ne oggi né allora ,quella di Giulio II. Pure, rimangono almeno due aspetti che evidenziano la singolarità del personaggio. Il primo è la sua grande carica di fede. Sia le testimonianze del suo cerimoniere, sia i contenuti dei lavori artistici commessi a Raffello (Disputa, Messa di Bolsena), dimostrano un amore intenso per l’Eucarestia, mentre la volta con le storie della Genesi dipinte da Michelangelo manifestano una fiducia nell’onnipotenza divina inscalfibile, dalla quale gli derivava anche il coraggio personale nelle decisioni che prendeva e che per lui erano “il bene” per la chiesa. L’altro è di aver saputo guardare lontano nel campo dell’arte. Perché Giulio, pur non essendo uomo di grandi letture, genialmente intuiva che Roma come centro della cristianità avrebbe dovuto irradiare anche una particolare visione di arte e di cultura. In questo si collocava sulla scia dei predecessori, ma a lui va la capacità di aver scovato i geni del suo tempo e di averli valorizzati, fornendo loro dei contenuti profondamente cristiani. Dopo di lui, Leone X continuerà in quest’opera, ma senza la carica ideale di Giulio, preferendo la raffinatezza all’originalità creativa. Per cui oggi, oltrepassato il lato caduco del suo agire, gli siamo grati almeno per aver espresso il senso cristiano della bellezza, valorizzando l’eredità classica – il suo “Belvedere” con l’Apollo e il Laocoonte è il nucleo originario dei futuri Musei Vaticani – in una visione di continuità fra passato e futuro sotto l’ottica delle fede. Dopo questo rapido excursus, cosa unisce due pontificati così discussi e discutibili? Certamente, la personalità prepotente di entrambi, nel bene e nel male, e la capacità di “dire” un’epoca della storia europea. In più possiamo vedere che anche in due figure di papi fra i più criticati della storia, la “grazia” legata al ruolo di Pietro riesce a farsi strada oltre i limiti umani e a lasciare il segno nel proprio tempo. Un’eredità non indifferente del carisma petrino in loro. L’ANNO DI GIULIO A Savona, città del papa Della Rovere, oltre alla mostra multimediale, già a Rimini, sulla Sistina (30/11, 12/4) un convegno (25-27 marzo 2004) sul pontefice, la riscoperta della Cappella Sistina di Savona, mausoleo di famiglia, e manifestazioni aperte il 30/11 dal card. Sodano, presente la Guardia Svizzera, il corpo creato da papa Giulio.