Bonaviri e la grande esplorazione del mondo

“Lo scrivere – diceva Giuseppe Bonaviri – per me è diventato un modo per perseguire quella grande esplorazione del mondo (“). Mi piaceva esplorare i nostri labirinti umani per mezzo della parola e delle immagini” (1). Proprio in questa esplorazione cosmica della vasta produzione dello scrittore siciliano, è entrato con intuito e passione il critico Carmine Di Biase, offrendoci una monografia di grande respiro: Bonaviri e l’oltre. L’opera intera (Edizioni Scientifiche Italiane). Grazie ad un approfondita riflessione su contenuti e stili linguistici, trasfigurazioni e sogni delle pagine bonaviriane, Di Biase si dimostra “indiscusso maestro nella capacità di scoprire l’identità dello scrittore e dell’uomo, quale si è andato manifestando fin dalle prime prove letterarie( 2), articolando il suo discorso secondo i moduli fondamentali della poetica bonaviriana: il tempo, il cosmo, il mito, la poesia, la fiaba. Emerge dal libro la forte personalità artistica del romanziere, tra le più grandi della nostra narrativa contemporanea, capace di creare pagine di forte impatto emotivo, in cui la scrittura, in una variazione di stili e linguaggi, riflette il mistero del quotidiano e del familiare, nel desiderio costante di raggiungere l’uomo per comunicargli le esperienze della mente e del cuore. Se come medico – lo scrittore è stato un bravissimo cardiochirurgo – ha curato il corpo, con la sua scrittura egli parla all’animo umano facendogli scoprire “il sentimento e la memoria, la natura e la sovranatura, la realtà e la favola, le sensazioni e i sogni, la musica e il fremito della natura e del cosmo, il cielo e la terra”. Per Di Biase la scrittura di Bonaviri aggredisce il reale quasi a volerlo “sciogliere dalla pena dell’essere, rivi- sitandolo in una modalità fabulistica, più tersa e più vera ad un tempo”, reclamando un infinito “oltre” nel quale ogni aspetto reale trova il suo pieno significato. Il mistero dell’io e quello del cosmo, nelle pagine del Bonaviri si fondono, dando origine all’infinita molteplicità dell’essere, che manifesta proprio l’infinita grandezza dell’uomo. Pensoso creatore, egli “mira alle origini primigenie dell’essere e delle cose, che si slargano in espansione cosmica, lunare e astrale… ma vicino alla pena e ai sogni dell’uomo”. Un uomo immerso nel mistero e nell’avventura del quotidiano, nel lento scorrere del tempo. Ed è proprio il tema del tempo, fondamentale in tutte le sue opere, che proietta le sue storie oltre il già dato e il già conosciuto “per virtù di una lingua nobilissima, di rara espressione ed invenzione, in uno stile suo originale, unico nel complesso panorama della nostra letteratura, una vibrante “dimensione dell’oltre”, che può essere colta nella stessa valenza illuministica e immanentistica al fondo della sua ispirazione mitica, come nella sua scrittura magico-inventiva “. “La fiaba – dice Bonaviri – è un universo aperto dentro cui tutto è possibile e oscilla il tempo: passato, presente e futuro. La fiaba è sempre stata progettazione di un mondo inesistente e futuribile di un universo sognato, inseguito e in parte raggiunto dall’uomo, dominato da sentimenti di fondo”. Tutta la sua narrativa diventa allora “espressione incantata della favola della vita e dell’essere… Nella sua inesauribile fantasia si fondono antiche e nuove tradizioni, il passato e il presente, il mondo saraceno e la mitografia stessa della scienza, la Bibbia e la tradizione popolare, la propria terra e la lingua primigenia che la interpreta””. Inoltre in tutta la sua produzione vibra sempre una valenza saggistico-inventiva che, in un continuo scambio tra fantasia e pensiero filosofico scientifico, lo porta ad indagare le ragioni dell’essere nei suoi molteplici aspetti. Ma anche un’indagine sull’arte e le sue ragioni, un’arte intesa essenzialmente come “attività spirituale” in cui si intravede una forma e un’eco del divino, come se Dio “fosse penetrato e si fosse manifestato nell’uomo in una gradualità di costruzioni biologiche attraverso le quali meglio si poteva accedere alla sua sconfinata potenzialità”. GIUSEPPE BONAVIRI, nasce, primo di cinque figli, a Mineo (Catania) il 1924. La madre conosce più di cento fiabe e spesso le racconta ai figli. Il padre scrive segretamente poesie. Due esperienze che si rivelano determinanti per la futura vocazione del ragazzo. Dopo le elementari si trasferisce a Catania e qui resta fino alla laurea in Medicina, conseguita nel 1949. Intanto, fin da quando aveva da 14 anni, aveva cominciato a scrivere romanzi, racconti, drammi e poesie. Nel 1951 viene nominato ufficiale medico a Casalmonferrato in Piemonte. Qui porta a termine il romanzo Il sarto della stadalunga, che attira l’attenzione di Vittorini e viene pubblicato nella collana dei “Gettoni” di Einaudi. Si specializza in Cardiochirurgia e ricopre l’incarico di ufficiale sanitario a Mineo. Nel 1957 si sposa e si trasferisce a Frosinone, dove vive tuttora. Qui presta servizio nell’Ospedale della città fino al 1964. Nel 1958 pubblica La contrada degli ulivi e nel 1964 Il fiume di pietre. Poi La divina foresta (1969), Notti sull’altura (1971), L’enorme tempo (1976), Novelle saracene (1980), fino a Chigò (1990) e L’infinito lunare (1998). Inoltre scrive testi teatrali, poesie e vari libri di saggistica. Più volte candidato al Premio Nobel per la letteratura, risulta tra gli scrittori italiani più tradotti all’estero. I suoi libri infatti si trovano in Francia, Bulgaria, Russia, Germania, Polonia, Svezia, Aregentina, Slovacchia, Cechia.

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