Bonatti e Zizola. Cercatori di vette
La contemporanea scomparsa di un grande scalatore e di un vaticanista raccontano la grandezza di chi non s’accontenta mai della mediocrità che svilisce la verità
Quando in una redazione giunge la notizia della morte di un personaggio conosciuto, le reazioni di solito si limitano alla ricerca di chi può scrivere qualcosa sul deceduto. È la reazione spontanea dei cronisti, che vogliono “stare sulla notizia” a tutti i costi, e che mettono in secondo piano i sentimenti. Ma ieri non è stato così nella nostra redazione. Sì, ci si è interrogati sulla necessità o meno di parlarne su queste pagine web o su quelle cartacee, ma solo dopo aver “cantato le lodi” dei due grandi uomini ieri scomparsi. Con nostalgia e riconoscenza.
Walter Bonatti, un palmares assolutamente unico nella stagione del grande alpinismo, accresciuto dalla nota vicenda sul K2 e sulle accuse rivolte all’alpinista bergamasco di non aver adeguatamente contribuito al trionfo di Compagnoni e Lacedelli, mentre la storia ha dimostrato esattamente il contrario, ridando a Bonatti la sua giusta aura di scalatore calcolatore ma arditissimo. Per tutta la sua esistenza il K2 è stato il suo sogno e la sua ossessione. È morto di malattia a 81 anni di età, a Roma.
Giancarlo Zizola aveva scalato invece la vetta metaforica del Vaticano II, chiamato a Roma nientemeno che da papa Roncalli. E, avendo visto il panorama dall’alto, non aveva cessato per tutta la sua vita di indicarne l’esistenza, spiegarne gli arcani, indicare le vie senza uscita, denunciare i ritorni nostalgici al passato. Schietto e appassionato, ha servito la Chiesa a modo suo, stringendo amicizie di ferro (tra queste quelle col “nostro” Gino Lubich) e denunciando i piccoli o grandi tradimenti del cristianesimo da parte dei cristiani stessi. Zizola è morto a 75 anni sul campo, a Monaco, dove aveva seguito l’annuale appuntamento per la pace della Comunità di Sant’Egidio.
Nel suo Filosofia della montagna, Francesco Tomatis scrive parole che mi paiono applicabili a Bonatti e Zizola: «Limite e illimite si richiamano, ma silentemente se non a partire dalla voce del limite, di cui l’illimite non è che liberatamente altra eppure sempre limitata eco dell’originante tono». In altre parole, entrambi cercavano quel che non ha limite nel limite stesso, eco dell’Origine senza limiti.