Bolivia nell’incertezza prima del voto
A maggio in Bolivia si ripeteranno le elezioni annullate lo scorso 20 ottobre, quando le proteste per i brogli elettorali, poi verificati da un dossier della Organizzazione degli Stati americani (Oea è la sigla in spagnolo), hanno portato alla rinuncia del presidente Evo Morales. Cosa sia accaduto realmente, divide tuttora i due schieramenti. Per le opposizioni il presidente rinunciò a continuare nel suo mandato e accettò l’offerta del Messico di asilo politico, anche se nella sua decisione ebbe un certo peso il “suggerimento” del comandante delle forze armate di seguire tale via, data la situazione di tensione che nel Paese era sfociata in scontri violenti tra i sostenitori delle due tendenze politiche.
Per il partito di Morales, il Mas, si trattò invece di un vero proprio colpo di Stato ordito dai militari, mentre la polizia si rifiutava di imporre l’ordine. L’ex presidente in realtà ha successivamente mutato posizione: prima quella di dimissionario (nel video dell’annuncio non fece menzione di pressioni militari, anzi al congedarsi ringraziò le forze armate per averlo affiancato), poi quella più legalista di non aver presentato una rinuncia per iscritto che doveva essere votata in Parlamento, arrivando infine a quella di un presidente in esercizio usurpato delle sue funzioni. In verità, la norma costituzionale stabilisce che in caso di abbandono del Paese il Parlamento debba provvedere alla nomina di un presidente ad interim.
Ma che la legalità sia un argomento relativo lo dimostra anche la nomina dell’attuale presidente, Jeanine Áñez, rappresentante di una forza minoritaria in un Parlamento dove il Mas ha più del 60% dei voti ed era in quel momento assente dal recinto parlamentare. Se la motivazione dell’elezione fosse stata una sincera preoccupazione per la norma costituzionale, la situazione forse sarebbe stata diversa. Ma Jeanine Áñez aveva fretta di occupare la poltrona presidenziale per cominciare l’opera di smantellamento della politica di Morales, a cominciare dai simboli della cosmovisione dei popoli andini: la bandiera è stata cambiata (seguendo uno stile che avrebbe soddisfatto i conquistadores spagnoli) sostituendo ai simboli indigeni la Bibbia, bandendo peraltro dal vocabolario ufficiale la parola pachamama (cioè madre natura). Bianca e bionda la presidente ad interim, olivastro e dai capelli neri il sindacalista ex presidente: era chiaro in quali mani fosse passato il potere in Bolivia.
Ma quale sarà a maggio la pole position dei partiti? È ormai scontato che Morales non parteciperà alle elezioni. In Argentina, dove oggi ha ottenuto asilo, il Mas ha scelto come candidato a presidente l’ex ministro dell’economia Luis Arce, preferito dalla base, che sarà assecondato dall’ex ministro degli Esteri David Choquehuanca, più vicino a Morales. Teoricamente, la base elettorale del Mas è intorno al 45%, ma in questi mesi delle divisioni nel movimento sono apparse e pure importanti e si paga l’errore di aver cercato di sovvertire le elezioni manipolandone i risultati. Settori sindacali ed operai nel passato legati al Mas, oggi ne prendono le distanze. Potrà conservare il partito la sua forza elettorale dopo tale cocente delusione?
Ad ottobre arrivò secondo Carlos Mesa, alla testa di una coalizione che abbracciava il centro e settori di destra. Ma la destra si è staccata ormai da questa coalizione, preferendo dividersi in progetti personali. Luis Camacho, industriale di estrema destra, cercherà di arrivare alla presidenza e lo farà anche Áñez, forte della popolarità acquisita in questi mesi. Entrambi hanno rosicchiato alleati a Mesa che in tutto questo tempo non ha dimostrato di possedere la stoffa del capitano in acque tempestose, pur dovendogli riconoscere l’attaccamento fedele ai principi dello stato di diritto e delle istituzioni democratiche.
Vincere al primo turno è un’ipotesi possibile per il Mas, ma potrà non essere sufficiente se il resto dei partiti si uniranno per sbarrare il ritorno della sinistra al potere. I votanti di Mesa preferiranno una eventuale alleanza con la destra o un compromesso col Mas? Sono le incognite alle quali dovrà rispondere l’elettorato.