Bolivia, Argentina e Uruguay al voto

Nello Stato boliviano vince, ma contestato, l’uscente Evo Morales. In Argentina cocente sconfitta del presidente Maurizio Macri: prevale l’accoppiata Alberto Fernández-Cristina Fernández. In Uruguay l’opposizione ottiene di passare al secondo turno.

Ancora un lungo fine settimana elettorale in America del Sud. Dopo le elezioni che in Bolivia sembrano sancire la vittoria di Evo Morales, anche in Argentina ed Uruguay le urne hanno confermato importanti novità politiche.

Bolivia
Spesso si leggono i risultati elettorali, soprattutto in caso di secondo turno, non solo in chiave di chi ha votato a favore del vincitore, ma anche di chi non lo ha votato. È una lettura rischiosa, ma credo che oggi sia possibile farla a una settimana dalle elezioni in Bolivia. Evo Morales è stato proclamato vincitore per la quarta volta col 47% dei voti, ma si può dire che oggi ha contro il 53% dei votanti.

Evo Morales all'aeroporto di Vienna
Evo Morales

Il Tribunale supremo elettorale gli ha assegnato la vittoria con 10,57 punti percentuali di vantaggio sul suo avversario più diretto, l’ex presidente Carlos Mesa, a capo di una coalizione d’opposizione. Quel 0,57% fa la differenza perché la costituzione richiede per vincere al primo turno più della metà dei voti, o più del 40% ma con dieci punti di distanza sul secondo candidato più votato. Morales ha ottenuto il 47,08% e Mesa il 36,51%. Il problema è che il conteggio dei voti si è interrotto senza spiegazioni chiare durante la notte del 21 ottobre, e fino a quel momento i risultati preliminari indicavano una distanza che oscillava tra i 9 ed i 7 punti. Ci sarebbe stato un secondo turno. Il lunedì seguente il conteggio è ripres,o ma la tendenza era cambiata sorprendendo tutti, e facendo presagire una vittoria di Morales poi confermata nel mezzo di proteste che si sono estese a molte località boliviane.

L’Unione Europea e l’Organizzazione degli Stati americani hanno fatto presente la loro preoccupazione per lo spoglio delle schede e l’elaborazione dei dati, e gli indizi e le denunce di irregolarità che Mesa avrebbe riscontrato in vari casi. Lo stesso governo ha accettato la proposta di un controllo dei risultati da parte dei due organismi. Ma mercoledì, ancor prima del conteggio finale e del controllo accordato, Morales ha annunciato la sua vittoria grazie al voto delle zone rurali, che sarebbe stato decisivo per ottenere il margine di vantaggio necessario. Vittoria confermata dal Tribunale supremo elettorale. Gli inviti a realizzare un secondo turno formulato da varie organizzazioni, per evitare di surriscaldare gli animi, non sono stati accolti.

Mancano ancora i dati finali della composizione del nuovo Parlamento. Di certo, il partito del presidente (Mas) perde la maggioranza di due terzi che aveva finora. Dei 38 senatori, 19 o 18 saranno del Mas (erano 25), dei 130 deputati ne conserverebbe 64, (erano 88). Ma è una vittoria stentata, quella del presidente, siamo lontani dai trionfi col 60% e passa di voti. Il che vuol dire che qualcosa sta cambiando. Il presidente arriva a questo quarto mandato senza che nel suo partito sia apparso un erede o un gruppo di eredi. Ha perso un referendum nel quale ha cercato di reintrodurre la rielezione indefinita che la costituzione propiziata dal suo stesso partito non consente. E per presentarsi questa volta è ricorso al parere addomesticato dei giudici costituzionali, che si sono arrampicati sugli specchi per sospendere la norma che limita a due mandati la rielezione, sostenendo che in tal modo verrebbe leso il diritto umano di partecipazione politica. Farà fatica a superare i dubbi sulla legittimità del suo mandato.

Argentina
Gli argentini hanno preferito la formula Alberto Fernández-Cristina Fernández, rispettivamente presidente e vice, per governare il Paese durante i prossimi quattro anni. Il nuovo presidente ha ottenuto oltre il 48% dei voti, mentre la ex presidente va a coprire la seconda carica dello Stato. Il presidente Maurizio Macri è riuscito a dimezzare i 15 punti di distanza che Alberto Fernandez aveva ottenuto nelle primarie di agosto, attestandosi attorno al 41%, un risultato che non impedisce la vittoria del suo rivale. La costituzione prevede infatti la vittoria al primo turno se si supera il 45% dei voti.

MacriLa sconfitta è cocente in molti altri distretti di questo Paese federale, dove è andato alle urne l’81% degli aventi diritto al voto. Prima di tutto nella provincia di Buenos Aires – omonima della capitale che è, invece, una città autonoma con statuto speciale -, la più popolata ed anche la più industrializzata, dove il peronista Axel Kiciloff, ex ministro dell’Economia di Cristina Fernández, supera il 52% dei voti, surclassando la governatrice Maria Eugenia Vidal, figura di spicco di Cambiemos, il partito del presidente Macri.

Quest’ultimo paga il prezzo di non aver saputo affrontare con empatia e comprensione una crisi economica dalla quale l’Argentina non è mai uscita durante la sua gestione. Iniziata con le pietre di inciampo dell’inflazione al di sopra del 40%, col deprezzamento del dollaro, moneta che da sempre è quasi la seconda divisa ufficiale con la quale si misurano i valori di prodotti e capitali, e una spesa pubblica a livelli astronomici. I tecnocrati di cui si è attorniato il presidente hanno impedito di cogliere l’aspetto umano e di poter ottenere il necessario consenso per sostenere con fiducia la sua gestione. La sensazione è stata quella di una élite lontana dai problemi della gente, nonostante le politiche sociali siano state approfondite e si sia investito in infrastrutture. Un linguaggio vicino ai problemi della gente e il saper comunicare con i settori più svantaggiati hanno invece fatto volare gli eredi del “kirchnerismo”, a partire da Alberto Fernandez, capo di gabinetto del defunto Néstor Kirchner, successivamente allontanatosi da Cristina e, a suo tempo, critico della sua gestione, in particolare nelle questioni riguardanti gli scandali per corruzione.

Durante la campagna, Fernández è riuscito ad instillare l’idea di poter capitanare la nave in acque burrascose, molto più di Macri. Nonostante le decine di processi che accumula il settore, le schiaccianti documentazioni raccolte in materia di corruzione e di lavaggio del denaro, si è diffusa l’idea di una sorta di ricomposizione di questo gruppo politico a partire dalla presenza-non-tanto-presente di Cristina Fernández, che ha accettato di svolgere un ruolo meno esposto alla luce dei riflettori, dato che il vicepresidente esercita la presidenza del Senato. Solo il tempo potrà dire se questo settore peronista sarà capace di far meglio. Non sarà del tutto facile, perché nel nuovo Parlamento l’opposizione, capitanata da Macri, potrà avere una grossa incidenza nel dibattito politico e potrà negoziare i progetti di importanza strategica.

Uruguay
Anche in Uruguay soffiano venti di cambiamento politico. Dopo 15 anni di governo, il Frente Amplio, coalizione di centrosinistra, dovrà sfidare nel secondo turno il candidato di centrodestra Luis Lacalle Pou, figlio dell’ex presidente Luis Alberto Lacalle. Senza poter contare ancora sui risultati definitivi, Daniel Martínez sfiora il 40% dei voti, ma siamo lontani dalla maggioranza semplice del 50% più uno necessaria.

Vince, ma nonostante accumuli quasi dieci punti di distanza su Lacalle Pou, nel secondo turno la situazione appare notevolmente complicata per il centrosinistra, dato che gli altri candidati principali, che hanno ottenuto il 12 ed il 10,5%, hanno annunciato che appoggeranno Lacalle. Questo significa aritmeticamente, la possibilità di superare il 50% con una certa facilità mentre Martínez dovrà arrivare a rosicchiare 10 punti al resto dello schieramento politico, disposto ad interrompere la sequenza di governi di centrosinistra.

Le prossime settimane diranno se Martínez saprà riaccendere la fiamma del cambiamento accesa in questi anni, ma successivamente affievolitasi e se riuscirà a formare un governo con i gruppi che oggi sono all’opposizione.

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