Bohemian Rhapsody premiato coi Golden globe
È uscito il 29 novembre scorso, Bohemian Rhapsody di Brian Singer, eppure sono tante, ancora, le sale che lo proiettano. Solo a Roma più di venticinque. Non tutti i suoi (tanti) spettatori lo ritengono un capolavoro, alcuni lo considerano infedele ai fatti storici, ma molti lo hanno apprezzato, e tanti si sono emozionati nel vederlo. Certo è che non è passato inosservato, questo film biografico su Freddie Mercury: il leader storico dei Queen, con la sua voce eccezionale e le sue creazioni artistiche inimitabili e articolatissime, ricche di variazioni a partire proprio dalla canzone che dà il titolo al film. Certo è che sta diventando un grande successo, questa pellicola zeppa di pezzi musicali familiari, coinvolgenti e memorabili, e il Golden globe vinto pochi giorni fa come miglior film drammatico ne accresce la popolarità e favorisce la discussione, il dibattito e la riflessione.
Ebbene, al di là del discorsi circa la profondità, la completezza e la precisione storica con cui è descritta nel film la personalità del grande cantante – questione affrontata più o meno in ogni recensione -, sembra innegabile che il film renda pieno omaggio, questo sì, indiscutibile, alla potente e ineguagliabile voce di Freddie Mercury, con tante canzoni da lui stesso cantate, insieme a un elaborato lavoro digitale che combina la sua voce con quella dell’attore che lo interpreta, Rami Malek (anche lui premiato con il Golden globe), e con quella di un cantante canadese che ricorda molto, in quanto a sonorità vocale, l’artista britannico.
Al di là di questo, però, oltre alla fedeltà del biopic su cui i molti esperti di Mercury possono trovare qualcosa da ribattere, ci sono un paio di aspetti, in Bohemian Rhapsdody, che sono interessanti, che insegnano ed emozionano. Il primo riguarda l’importanza delle relazioni umane, quelle sane; la seconda c’entra con l‘uso che facciamo del nostro talento, sul modo in cui lo doniamo, lo mettiamo al servizio degli altri, lo adoperiamo per una buona causa.
La prima questione riguarda la separazione e poi il ricongiungimento del leader col resto del gruppo: il protagonista del film cerca di colmare il vuoto affettivo che sente sempre maggiore intorno a sé con l’ulteriore, solitaria, corsa verso l’autoaffermazione, convinto di trovare lì dentro una sutura per le sue antiche ferite. Capirà, invece, che senza le persone giuste accanto – che siano il resto della band o la sua ex moglie Mary Austin -, sarà impossibile trovare pace, ed anzi, l’unica strada aperta è quella verso la dissoluzione, per niente indolore, anzi.
«Voi siete la mia famiglia», dice il Freddie Mercury del film agli altri del gruppo, quando, già malato di Aids, chiede di poter tornare con loro. Perché ha capito che nemmeno lui è un’isola e che non ha senso recriminare su chi mette di più e chi mette di meno dentro un rapporto, su chi dà e chi riceve di più. Conta che il meglio che riusciamo a tirare fuori da noi stessi dipende anche (e tanto) dall’unione con gli altri, dalla relazione armoniosa che questi ci consentono.
L’altra questione, come detto, è legata al modo in cui usiamo i doni che ci sono stati dati. Nel caso della star dei Queen, sono ovviamente la grande voce e la creatività musicale. C’è una parte consistente, in Bohemian Rhapsody, legata al concerto per il Live Aid: lo straordinario evento organizzato nel 1985 da Bob Geldof per ricavare fondi da adoperare contro una grave carestia in Etiopia.
I Queen, in quell’occasione, salirono sul palco di Wembley, a Londra, e il loro frontman diede vita ad una performance carica di energia e passione. Nel film questo è raccontato con enfasi e tanto spazio subito dopo il cambiamento di rotta del protagonista, ed è grazie a questa grande occasione che Freddie ritrova motivazioni, che si riaccende di pieno senso il suo lavoro di artista. Mercury offre tutto se stesso davanti a 72 mila spettatori presenti, impazziti di entusiasmo, e ad oltre due miliardi incollati davanti alla tv, perché il suo talento può, in questo caso, salvare vite, edificare ponti e strade che non hanno a che fare con l’accrescimento del proprio io, con il culto della propria personalità, ma con l’esaltazione della sua profonda umanità.
Proprio grazie a questa nuova energia, a questa strada piena di sole ritrovata, il protagonista di Bohemian Rhapsody trova la forza di riabbracciare suo padre dopo molti anni, proprio lungo la strada che da casa sua lo porta al parco del Live Aid. E questi aspetti della pellicola, nonostante la fedeltà storica sia ritenuta discutibile, lasciano qualcosa di buono addosso, nutrono il film.