Bob Wilson incontra Beckett
È dedicata al poliedrico regista americano Bob Wilson la seconda delle “Monografie di scena” del Progetto Valle di Roma, con la sua nitida rilettura di due testi emblematici: Giorni felici e L’ultimo nastro di Krapp.
Protagonisti Adriana Asti e lo stesso Wilson. «Ho sempre sentito una certa affinità con il mondo di Beckett – afferma l’artista -. Per alcuni versi l’ho sempre sentito vicino al mio lavoro, ma solo adesso, dopo trentacinque anni, ho deciso di accettare la sfida e confrontarmi con lui».
Artista totale, alfiere della linea più “razionale”, antinaturalista e visionaria del linguaggio odierno della scena, maestro di suoni, luci, azioni, di un teatro del gesto e del segno, Wilson riesce aintegrare magistralmente movimento, danza, pittura, design, scultura, musica e drammaturgia. «Quando dirigo uno spettacolo creo una struttura nel tempo. Solo nel momento in cui tutti gli elementi visivi sono al loro posto viene creata una cornice che gli attori devono riempire.Se la struttura è solida, allora si può essere liberi al suo interno.In questo caso la struttura è data per la maggior parte dal testo e spetta a me trovare la mia libertà all’interno della struttura di Beckett».
Presentati al Festival di Spoleto del 2009, i due titoli sono accomunati dallo stesso tema: quello del tempo e dei ricordi smarriti, delle memorie perdute. Cambia solo il modo di viverli e la condizione fisica dei due protagonisti.
Per Winnie, in Giorni felici, le tracce rimaste della vita stanno negli oggetti quotidiani che estrae dalla sua borsetta e nei gesti che l’accompagnano; per l’anziano de L’ultimo nastro di Krapp, invece, sono in una bobina che riascolta dopo trent’anni con la sua voce giovanile incisa. Ascolta e commenta una sorta di pagina di diario, registrata tirando bilanci riflessivi di ieri e di oggi per dichiarare il fallimento di sogni e ambizioni. E di un grande amore perduto.
Wilson, qui anche interprete, sembra però svuotare la dimensione tragica del testo. Dipinto di biacca e dalla lenta gestualità orientale, fa del protagonista una sorta di clown, una marionetta metafisica ghignante con movenze chapliniane. Nell’algida scena al neon con una stilizzata libreria-archivio alle spalle, i primi dieci minuti sono di fragorosi tuoni e lampi temporaleschi. Quindi, nel silenzio e complici lame di luci, si stagliano gesti distillati: dall’armeggiare, seduto a tavolino, con la “scatola tre, bobina cinque” per ascoltare la sua voce, allo sbucciare la banana assaporata con solennità. Il suo Krapp è un essere esangue, la cui linfa della poca vita ormai rimastagli sembra manifestarsi nel rosso acceso dei calzini che vedremo solo alla fine.
La firma visiva di Wilson è riconoscibile anche nella fredda eleganza della scena di Giorni felici, aperta da un forte sibilo di vento. Sullo sfondo cangiante di colori lividi, fregiato per pochi minuti da una saetta al neon su un blu notturno, la protagonista viene immersa dentro un monticello di lastroni d’asfalto. Interrata fino alla cintola, quindi fino al collo, ella cerca di tramutare ogni nuovo dì in un giorno felice attraverso dei rituali quotidiani, al fine di trovare un significato alla vita.
Nel suo parlarsi addosso, dentro una quotidianità sdrammatizzata, l’ostinata positività le impedisce di guardare lo sfacelo del mondo circostante nel quale è rimasta sola col marito ridotto a larva umana. Il gran testo ci ha abituati a magistrali prove d’attrici. Non sfugge ora Adriana Asti, bravissima, ma paiono troppo lieve il suo affondo nel vaniloquio e quasi meccanica la sua recitazione. Non avvertiamo quei soprassalti smarriti e quei brividi d’angoscia di cui è venata la pièce che ne fanno, per contrasto, un inno alla vita.
Al Teatro Valle di Roma: L’ultimo nastro di Krapp, 10 e 11 ottobre; Giorni felici, dal 15 al 24.