Bob Dylan, un ritorno da Nobel

Il cantautore ha appena ritirato – con la sobrietà scontrosa che gli è propria – il tanto chiacchierato riconoscimento. Ma mr. Zimmerman tira dritto per la sua strada facendo quel che ha sempre fatto da  55 anni a questa parte: suonare e cantare. E sui mercati è appena arrivato un nuovo album: trenta riletture di altrettanti classici della tradizione del pop statunitense di più alto profilo.

Si intitola Triplicate: 30 piccole perle spalmate su tre cd. È il ritorno del gran vate della canzone d’autore americana. Uno talmente grande e unico da potersi permettere di infilare una serie di album di cover senza apparire per questo pretestuoso, avido, o noioso.

Mr. Zimmerman, classe 1941 da Duluth Minnesota, ci ha abituati ad ogni sorta di stramberia e di genialità, sempre smarcandosi dai diktat e dai cliché dello star-system, sempre dribblando i desiderata del proprio stesso pubblico fino a sfiorarne lo spregio. Ma intanto regalando a se stesso e ai mercati grandissime canzoni, concerti, e come in questo caso, reinventando alla sua maniera capolavori altrui.

Fedele solo a sé stesso e alla propria inesausta creatività, rieccolo dunque: ad indossare i panni del più improbabile dei crooner per regalarci una manciata di perle senza tempo, alcune celeberrime, altre da riscoprire.

In questo monumentale Triplicate (il suo album numero 38) prosegue una passerella iniziata tre anni fa, e con la collaborazione del produttore Jack Frost pesca a piena mani in quello sterminato catalogo del miglior pop americano novecentesco che gli statunitensi definiscono il great american songbook. E qui il termine “pop” è da intendersi davvero nel senso più alto del termine, ovvero di canzoni che sono divenute patrimonio della cultura di un popolo più ancora che dei bestseller da supermercato.

Pescando quasi a caso tra i tre cd saltano fuori gioielli come As time goes by e Stormy Weather, Sentimental Journey, Stardust: capolavori immortali che oscillano tra jazz e blues, swing, sophisticated pop, la tradizione di Tin Pan Alley e quella di Broadway. Una cover più bella dell’altra, e un unicum meravigliosamente personale e godibile, così come lo offrirebbe un Sinatra vestito di flanella sotto un taglio di luce da piano bar intasato di fumo.

Tutto questo per dire che il Signor Dylan, Nobel a prescindere, è ancora quello di sempre. E tocca farsene una ragione, e tocca continuare a prenderlo per quel che è: uno sterminato talento autoreferenziale.

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