Bizzarra vendemmia

La vendemmia è una festa. Quasi sempre. Quasi ovunque. A casa Capellini, Vittorio e Maria Grazia stappano una bottiglia di pregiato vino Sciacchetrà, produzione propria, l’elisir delle Cinque Terre. È il compleanno della figlia Doriana, ed è pure il giorno successivo alla conclusione della vendemmia. Il raccolto? “Poco più della metà dello scorso anno”, è l’asciutta risposta, in una zona dove ogni acino, per l’impervia campagna e una coltivazione quasi totalmente a mano, vale un tesoro. I bassi filari di loro proprietà, affacciati sul Mar Ligure, in quella costa scoscesa che va da Volastra a Menarola, sono stati schiaffeggiati dall’acqua. “Tanta pioggia e poco sole in questa strana estate – precisa Maria Grazia -, cosicché molta uva è marcita. Ogni grappolo è stato esaminato per prendere la parte sana “. Contrariati? “No – replica pronta -, poteva andarci peggio”. E con indomita fiducia contadina aggiunge: “Confidiamo nel prossimo anno”. Niente festa per la vendemmia invece a casa di Giuseppe Vultaggio, 30 anni, imprenditore agricolo trapanese. Lui, i grappoli d’uva, non li ha proprio visti. I vigneti, per complessivi sette ettari, si sono seccati ed è maturata la sofferta decisione di estirparli. L’agrumeto sta conoscendo la stagione più ostile; le piante di limoni – fino allo scorso anno in ottima produzione – stanno ormai seccando e sarà gioco forza tirarle via. Il frumento, per oltre l’80 per cento, è stato divorato dalla siccità ancor prima di fare la spiga. In questa punta occidentale della Sicilia, nessuno ricorda, anche tra gli ottantenni del luogo, qualcosa di simile in passato. “L’ultimo buon acquazzone è venuto due anni fa – rammenta il giovane agricoltore -. Lo scorso inverno abbiamo avuto in tutto non più di 15 minuti di pioggia. In settembre, d’acqua, n’è venuta per dieci minuti, senza alcun beneficio”. L’azienda agricola si trova nella contrada Misiliscemi, termine arabo, che – ironia della sorte – significa “terra dove scorre l’acqua”, perché la preziosa risorsa venne canalizzata dagli arabi e convogliata in vasche e abbeveratoi. Altri tempi. Nella tenuta di Vultaggio, 23 ettari, l’unico pozzo ha subìto le ingiurie di un cielo troppo avaro: a stento adesso si riesce ad attingere un metro cubo d’acqua al giorno, mentre fino allo scorso anno ne regalava 15. Ora che l’estate è passata, si calcolano in modo più dettagliato le conseguenze degli eccezionali eventi atmosferici in un’Italia bifronte, flagellata al Nord (seppur a macchia di leopardo) da allagamenti e grandine, riarsa al Sud per la permanente siccità. La vendemmia 2002, secondo le ultime stime della Coldiretti, non raggiungerà i 47 milioni di ettolitri, ben al di sotto del minimo storico raggiunto nel ’97 e inferiore del dieci per cento alla produzione dello scorso anno. Se può consolare, il maltempo non ha infierito granché sui vigneti dei vini pregiati, quelli a denominazione d’origine controllata. E non c’è solo uva. I danni stimati superano i 300 milioni di euro, solo in parte compensati (per il momento) dall’incremento del Fondo di solidarietà nazionale di 101 milioni di euro, deciso dal Consiglio dei ministri nella seduta del 6 settembre scorso. Gli agricoltori fanno sapere, attraverso le loro organizzazioni di categoria di temere adesso, quasi più del maltempo, le lungaggini burocratiche. “L’efficacia dei provvedimenti – tengono infatti a precisare – dipenderà dalla rapidità con cui le misure adottate si trasferiranno ora, con procedure agili e snelle, alle imprese duramente colpite”. “Quando ho visto come la siccità stava riducendo l’agrumeto piantato dal nonno, mi sono venute le lacrime agli occhi”. Giuseppe Vultaggio non è un tenerone, eppure sta vivendo una grande pena. “Il legame con le coltivazioni della propria azienda non è solo produttivo ed economico. Per me, che sono cresciuto in mezzo ai campi, c’è un rapporto anche affettivo “. Pensare al futuro della famiglia, ora che è arrivata una bimba, desta non poche preoccupazioni. Come l’economia di altre province italiane, anche quella trapanese, prevalentemente agricola, rischia il tracollo. Lo scorso anno l’estate si èprotratta fino a metà novembre. “Il tempo è impazzito – commenta Vultaggio – e l’estate appena trascorsa lo dimostra. Siamo preoccupati, ma non c’è disperazione, nemmeno nei miei vicini”. Hanno vissuto situazioni critiche già altre volte, ma viene sottolineata l’eccezionalità di quest’anno, che ha polverizzato gli investimenti compiuti. “Non manca, comunque, la speranza. Noi agricoltori sappiamo che ci sono annate buone e annate cattive, e si continua a programmare, a seminare, a coltivare. Siamo sotto il cielo, e tutto è buono, sia che piova, sia che non si veda una goccia. Come adesso”. Quanta saggezza a contatto con la natura.

Edicola Digitale Città Nuova - Reader Scarica l'app
Simple Share Buttons