Bisonti, senatori e campioni

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Il sole non è ancora spuntato dietro le cime quando i cinquemila partecipanti alla Marcialonga, la più importante granfondo italiana di sci nordico, sono già schierati da ore nella spianata di Moena in attesa del via annunciato dal tradizionale sparo di cannone. Così, da più di trent’anni, ogni volta. Nelle prime file sono pronti i campioni, che faranno gara sé, dandosi battaglia sui settanta chilometri del percorso; dietro a loro spinge la fiumana di quelli che qui tutti chiamano i bisonti, la moltitudine multicoloredi sciatori, in gran parte fondisti della domenica, gli appassionati che per nulla rinuncerebbero ad una Marcialonga. Qui un posto d’onore è, infatti, riservato non solo ai più grandi atleti del fondo, ma ai cosiddetti senatori, i fedelissimi, oggi ancora 29, coloro che hanno concluso tutte e trenta le edizioni della gara: in testa al loro plotone Costantino Costantin, classe 1948, un nome che” assicura fedeltà, in coda Mario Vanzo, classe 1934, responsabile anche dell’ufficio gare. Con loro, uno accanto all’altro sono assiepati al via appassionati di una trentina di nazioni, di tutta Italia, donne, solo dal ’78, e uomini d’ogni età, da 18 a 83 anni, professionisti ed operai, studenti e professori, casalinghe ed artigiani. Alcuni si sono preparati tutto l’anno per affrontare con serietà questo impegno sportivo, altri osano cimentarsi quasi per la prima volta con gli sci stretti, tutti aiutati dalla coraggiosa scelta degli organizzatori di optare per la tecnica classica del tradizionale passo alternato, più accessibile ai neofiti, anziché per il passo pattinato, più efficace, ma indubbiamente più selettivo. Per tutti la sveglia è suonata all’alba, tutti hanno abbondato nella prima colazione, tutti hanno scrutato il cielo per capire le condizioni meteo, importanti non solo per scegliere l’abbigliamento adatto, ma la sciolina migliore, quella che deve assicurare la tenuta nei difficili tratti in salita, ma garantire la scorrevolezza in piano ed in discesa. I più esperti hanno preparato la soletta vincente già la sera prima, altri sono ricorsi ai molti maghi dell’alchimia presenti in valle. Il freddo pungente prima del via si dimentica in fretta, con le prime asperità, sopra Moena, e con quelle da affrontare prima del giro di boa a Canazei: rapidamente la carovana si allunga e si sfrangia, ma l’incitamento di migliaia di valligiani e tifosi non si spegne fino al passaggio dell’ultimo concorrente. La Marcialonga è prima di tutto una festa popolare, che accomuna le due valli solcate dall’Avisio, Fiemme e Fassa: qui la gente dà prova della sua genuina cordialità, con un esercito di ben 1200 volontari che ogni anno, in cambio di una semplice spilla e di un berrettino ricordo, spende la propria giornata all’aperto per offrire bevande calde, integratori, frutta secca, ma anche assistenza tecnica alla folla dei partecipanti. È questa, dei volontari della Marcialonga, una delle note, non solo di colore, che contribuisce a mantenere inalterato negli anni, 150 mila le presenze fino ad oggi, il fascino suscitato dalla gara: lo conferma addirittura lo studio di un master universitario internazionale orientato a scoprire il segreto di tanta longevità. Per gli sportivi – spiega Filippo Bazzanella, autore della ricerca ed oggi segretario generale della Marcialonga – il marchio di questa maratona dello sci di fondo è sinonimo di calore della gente, di grande ospitalità, di alta professionalità organizzativa, oltre che d’immersione in uno spettacolare ambiente naturale. La tradizione positiva è sostenuta dallo spirito non competitivo in cui si riconoscono la gran parte dei concorrenti e dall’atmosfera semplice ed appassionata che coinvolge tutti, dai partecipanti agli organizzatori, dal pubblico ai volontari. L’indagine avrà senz’altro nutrito l’orgoglio di quattro goliardici amici trentini, oggi ormai sulla settantina, che, nel ’69, di ritorno dalla partecipazione alla mitica Vasaloppet, la più affollata kermesse di sci nordico al mondo, che vede al via, in Finlandia, oltre 45 mila sportivi ogni anno, si dichiararono convinti di saper organizzare altrettanto. Due anni dopo la loro spregiudicata scommessa divenne realtà anche grazie alla tradizionale operosità della gente di montagna ed alla innata passione sportiva della valle, che nel ’68, a Grenoble, aveva permesso il trionfo nella 50 chilometri olimpica del fiemmese Franco Nones. In cinque lustri la volontà ferrea degli organizzatori è stata provata più volte, specie negli anni di carenza di neve, come nel 2002, quando allestirono la pista solo grazie a ben 87 mila metri cubi di neve artificiale prodotta e portata sul percorso. Indubbiamente il boom turistico degli anni Settanta aiutò tutti a comprendere che la manifestazione avrebbe rappresentato uno straordinario indotto economico per la valle, misurabile oggi in qualcosa come 1,5 milioni di euro l’anno. Ma non è unicamente per questo che il serpentone è accompagnato con calore fino al traguardo di Cavalese: la dura salita finale, quella della cascata, che conduce da Molina al traguardo, non è solo il tratto che sancisce il vincitore, ma l’ultima tremenda sofferenza, dopo oltre 65 chilometri di pista, per i bisonti. Tutti, nessuno escluso, sono attesi con trepidazione dal pubblico ben oltre il tramonto che ammanta di rosa le cime, fino a quando, alla luce dei riflettori anche l’ultimo ha tagliato il traguardo. Questo, soprattutto questo, è il fascino della Marcialonga.

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