«Bisogna venire in Libia per dialogare e non con le armi»

A Tripoli l’angoscia per il futuro del Paese s’intensificano. Il caos regna sovrano, è il caso di dirlo. Mons. Martinelli rimane nella sua chiesa e usa parole forti
Libia

L’avevo sentito al telefono sabato, come accadeva ormai da quattro anni con regolarità. Mons. Giovanni Innocenzo Martinelli, vescovo latino a Tripoli, mi aveva risposto con una voce decisa e serena. Sembrava fosse dietro l’angolo, non si sarebbe detto che le sue parole provenissero da una delle zone più pericolose al mondo. Dopo la conversazione avevo deciso di non scrivere nulla, non avrei certo voluto essere io a metterlo in pericolo, amici di lunga data per la comune passione per l’unità dei popoli. Ma ieri sera i telegiornali e oggi i giornali riportano le sue dichiarazioni, e allora perché esitare a riportare il suo pensiero?

Giovanni Martinelli è un piccolo-grande uomo, va detto. Un uomo di coraggio che, nonostante un grave problema di salute che l’ha colpito due anni fa, continua “testardamente” a voler rimanere il Libia, nella sua Libia, per accudire come un pastore amoroso le sue pecore, che ormai si sono ridotte a un manipolo di donne filippine che lavorano negli ospedali come infermiere e che “non possono” lasciare il Paese.

Aveva appena accompagnato l’ambasciatore alla nave che l’avrebbe riportato in patria assieme agli impiegati dell’ambasciata e ad altri italiani: «Non ho nulla di particolare da dirti – ha esordito –, siamo diventati orfani dell’ambasciatore partito».

Insisto per sapere qualche dettaglio: «Ma lo ripeto, non ho nulla da dirti, siamo qui perché Gesù ci vuole qui. Sono al servizio di questo popolo, non sono qui per chissà quale potere».

E la comunità cattolica? «La comunità cristiana esiste ancora, siamo tranquilli».

Siete tranquilli? «Abbiamo appena celebrato la messa, Dio è con noi, perché dobbiamo temere?».

Anche padre Sylvester è ancora a Bengasi? «Certamente – mi risponde mons. Martinelli –, anche lui dice che si può ancora restare per essere vicini a questo popolo così provato».

Che cosa ipotizzate per il futuro? «Le previsioni sono molto difficili da fare, anzi è meglio non farne, perché troppe volte abbiamo fatto ipotesi che poi non si sono realizzate. Meglio vivere giorno dopo giorno, anzi momento dopo momento. Nel momento presente c’è tutto. In quel momento incontro Gesù, incontro i fratelli, amo questo popolo».

Come è la situazione a Tripoli? «Mi sembra abbastanza calma, non ci hanno proibito niente. Il clima è tranquillo e pacifico. Non c’è grande pericolo a circolare durante il giorno. Certo, la sera stiamo a casa».

Paura? «Per il momento non abbiamo avuto minacce dirette. Stiamo a vedere come si svilupperanno le cose. Forse ci taglieranno la testa… Ma io gliela darò su un piatto, perché sono qui per morire per la mia gente».

Come vede il ruolo dell’Italia in questa vicenda? «Si è molto impegnata, in particolare l’ambasciatore, per tenere aperto il canale del dialogo tra le diverse tribù, tra le diverse fazioni. L’Italia ha fatto finora propaganda di pace».

Come vede un intervento armato straniero ipotizzato anche dal ministro Gentiloni? «Non credo proprio che sia la soluzione».

Nel 2011, quando spiravano venti di guerra, quando Sarkozy e Cameron spingevano per intervenire militarmente in Libia lei mi disse che se ciò fosse accaduto la Libia rischiava di esplodere nelle sue divisioni tribali e politiche. Bisognava prevedere il dopo-Gheddafi. Ma purtroppo tutti gli europei sembravano sicuri che la democrazia elettiva avrebbe contagiato positivamente il Paese… «La prudenza sarebbe stata utile, allora come ora. La diplomazia internazionale dovrebbe fare la sua parte per rimettere assieme i pezzi della Libia. Non si debbono imporre visioni politiche che non appartengono a questa gente».

Poi riprende e conclude: «Se si viene qui solo con le armi e senza una forte volontà di dialogo, non serve a nulla. Bisogna venire qui per amare questo popolo, non per fare gli interessi degli Occidentali, non per sfruttare il petrolio e altre risorse. Qui ci si può venire solo se si ha la volontà di dialogare coi musulmani. Io sono qui per questo e per null’altro scopo».

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