Bisogna tornare a sognare il Brasile
Ci sono ministri che hanno presentato le dimissioni per una tesi parzialmente copiata; a un anno dalla sua seconda elezione come presidente della Germania, Horst Köhler si dimise per le polemiche scoppiate per le sue dichiarazioni in merito alla presenza militare tedesca in Afganistan. Il presidente del Brasile, Michel Temer, invece, si mantiene avvinghiato alla sua poltrona nonostante su di lui e sulle persone di sua massima fiducia fiocchino accuse documentate di corruzione e di finanziamenti irregolari, al punto da falcidiare quasi la metà del suo governo e le principali cariche del suo partito (Pmdb).
Uno dei tanti paradossi di questi momenti di crisi che vive il Paese è che Temer sia giunto al potere in seguito alla destituzione, ingiustificata, della sua compagna di formula elettorale, la ex presidente Dilma Rousseff, della quale fu prima alleato e poi – con un voltafaccia opportuno – nemico acerrimo. Dunque Rousseff destituita per una mancanza amministrativa, Temer al potere pur se accusato di gravi delitti.
L’ultimo santo in paradiso che lo ha salvato, almeno per il momento, dalla destituzione è stato il Tribunale superiore elettorale. La scorsa settimana, per 4 voti contro 3, ha scagionato il presidente dall’accusa di aver finanziato illegalmente la campagna elettorale del 2014, che vinse accompagnando la Rousseff. I giudici ce l’hanno messa tutta per assolverlo: dei 4 voti a favore, 2 appartengo a giudici nominati dallo stesso Temer, un altro, quello decisivo, è arrivato dal suo amico personale, Gilmar Mendes. Quest’ultimo ha cambiato criterio di 180 gradi e da assoluto castigatore della Rousseff – destituita per aver fatto slittare partite di spesa all’esercizio successivo-, si è trasformato in benevolo assolutore di Temer. E questo nonostante le prove demolitrici presentate dal giudice istruttore. Contraddicendo il buon senso, Mendes ha sostenuto che tali prove non erano accettabili, perché apparse nel corso del procedimento e non dal suo inizio, nel 2015. Per Conrado Hübner Mendes, professore di diritto costituzionale presso la prestigiosa Universitá di São Paulo, non ci sono dubbi: il comportamento di questo giudice è assolutamente “illegale”.
Scagionato da una accusa che avrebbe messo in moto la dimissione, Temer ora è disposto ad affrontare le gravissime accuse di corruzione. I manager della azienda edile Odebrecht fanno il suo nome nello scandalo per miliardi di dollari che scuote l’intero sistema politico. Le indagini hanno appena provocato un’altra vittima eccellente: Sergio Cabral, ex sindaco di Rio de Janeiro, condannato a 14 anni. Gli hanno scoperto 100 milioni di dollari ottenuti con tangenti. Ma il nome di Temer, anzi la sua voce, la riproduce anche Joesley Batista, co-titolare della JBS la maggiore produttrice di carne del mondo, che si è distaccato dal regime della delazione ricompensata ed ha presentato un audio nel quale il presidente lo invita a continuare a pagare all’ex presidente della Camera dei Diputati, Eduardo Cunha, in carcere, affinché riveli tutto ciò che sa (la somma finale è vicina agli 8 milioni di dollari).
Nonostante i sondaggi di opinione pubblica lo mostrino sempre più vicino allo zero, Temer non rinuncia. Chi lo potrà rimproverare? Il PT (Partito dei lavoratori) di Lula, la cui cupola ha ricevuto sonore condanne e con lo stesso ex presidente tra gli indiziati? I social democratici di Fernando Henrique Cardozo, il cui presidente del partito, l’ex candidato presidenziale Aecio Neves, è stato sospeso dall’incarico e da senatore inchiodato da una registrazione nella quale chiede tangenti alla JBS? I suoi compagni del Pmdb, molti dei quali spogliati dall’incarico parlamentare o ministeriale presi con le mani nel sacco?
L’ex presidente Cardozo ha suggerito un “gesto di grandezza” e di dimettersi per consentire elezioni anticipate e dirette. Sarebbero necessarie una serie di dimissioni dato che la costituzione brasiliana non prevede il ricorso del voto anticipato e solo garantisce meccanismi per arrivare alla fine del periodo.
E sarebbe l’unico modo che consentirebbe di restituire legittimità al voto dei brasiliani. Un voto tradito due volte, come acutamente sostiene in questi giorni la scrittrice e giornalista Eliane Brum: prima dalla stessa presidente Dilma Rousseff, quando una volta eletta fece proprie le proposte dei suoi avversari; poi dalla una destituzione irregolare, che ha messo al suo posto un presidente privo di legittimità, che sta cercando di far varare a un Parlamento ripieno di indagati riforme che non erano presenti nel programma elettorale e che la stragrande maggioranza dell’opinione pubblica rifiuta.
«Bisogna tornare a sognare il Brasile – sostiene Brum –. E per farlo, è necessario che il voto torni ad avere valore».