Bisogna dialogare con la società

Il presidente dell'Ucei, Renzo Gattegna (nella foto): è arrivata l'ora di farci conoscere dalla società.
Renzo Gattegna

Un congresso aperto, intenso, appassionato. Si stilano bilanci, si guarda al futuro. Ad ascoltare, in platea si intravedono ospiti illustri. C’è anche il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano che si presenta così: «Dei rapporti con la comunità ebraica io sono alfiere. Sono qui per questo, lontano dal frastuono della politica italiana». Questa l’atmosfera che si respira al VI Congresso dell’Unione delle Comunità ebraiche italiane, l’organizzazione rappresentativa dell’ebraismo italiano. Per quattro giorni gli 87 delegati, designati dalle 21 Comunità ebraiche italiane, si sono riuniti a Roma, per confrontarsi sui grandi temi che coinvolgono la minoranza ebraica.

 

Interessante la realzione del presidente Renzo Gattegna, che delinea punto per punto le prospettive e le problematiche su cui gli ebrei italiani sono chiamati a lavorare. «Il nostro futuro, la continuità della presenza ebraica in Italia – ha detto – dipenderanno dalla capacità che dimostreremo di saper conservare la nostra identità e confrontarci con la realtà in cui viviamo. In realtà è vero che sopravvivono ancora forme sia palesi che subdolamente mascherate di antisemitismo», ma è anche vero che «per la prima volta dopo due millenni, a partire dagli anni 1945-1948, tutto l’ebraismo mondiale è entrato in una nuova era. Sarebbe colpevole – ha sottolineato Gattegna – ignorare o non considerare adeguatamente che pur esistendo ancora gruppi e frange ostili, nella società abbiamo acquisito anche amici che, in diverse occasioni, si sono dimostrati pronti a collaborare e a battersi assieme a noi per il rispetto dei nostri diritti. Questa stessa società, forse per la prima volta da tempo immemorabile, dimostra interesse e desiderio di conoscenza della nostra cultura, delle nostre tradizioni e della nostra religione. Da diverse parti pervengono forti e ripetuti segnali di invito a partecipare e a confrontarci. A tale richiesta di apertura e di condivisione non è possibile né opportuno sottrarsi».

 

L’ebraismo italiano ha dunque voglia di aprirsi alla società e di farsi conoscere. Ne è un segno piccolo, ma significativo il fatto, per esempio, che la prolusione della storica Anna Foa con cui si è aperto il congresso dell’Ucei è apparsa sull’Osservatore Romano. Foa ripercorre l’importante ruolo avuto dalla minoranza ebraica nella realizzazione dell’unità nazionale, della quale nel 2011 si celebrano i centocinquanta anni. Una relazione rigorosa per dire che «forte e intensa è stata l’identificazione della minoranza ebraica italiana con il processo di costruzione dello Stato unitario».

 

Altro segno della volontà degli ebrei italiani di aprirsi alla società italiana è stata la Giornata europea della cultura ebraica che si è celebrata lo scorso 5 settembre. Per un giorno sinagoghe e musei si sono aperti al pubblico dando la possibilità di scoprire le opere di artisti ebrei, l’architettura e le decorazioni delle sinagoghe, i resti archeologici, i ghetti e le catacombe ebraiche.

 

Per non parlare poi del Giorno della Memoria che si celebra ogni anno il 27 gennaio. Nato come evento di carattere istituzionale, in un momento in cui forti erano le tensioni negazioniste, è oramai divenuto occasione di diffusione di cultura, conoscenza e coscienza civile per tutti e in particolare per giovani e studenti.

 

Ha dunque ragione Gattegna quando dice che l’apertura del mondo ebraico verso coloro che vogliono conoscerlo facilita il confronto e il dialogo quando afferma che la cultura è la chiave che apre le porte, che avvicina persone di tradizioni diverse e che, spesso, consentendo la riscoperta di lontane radici comuni, crea le condizioni per percorrere insieme sentieri vecchi e nuovi e per accettare le sfide di fronte alle quali ci pone una società in continua evoluzione.

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