Biodiversità umana e virtù in estinzione
Se parliamo di biodiversità intendiamo riferirci alla varietà di animali, piante, funghi e microrganismi che compongono il nostro pianeta e sappiamo che la sua perdita è un grave danno per gli ecosistemi e per tutti noi.
Pensiamo per esempio al fatto che l’estinzione delle api (oggi in drammatica decrescita) provocherà non solo la perdita del miele ma anche della maggior parte della frutta e verdura che oggi portiamo a tavola, essendo ben 130 mila le piante a cui le api sono essenziali per l’impollinazione.
Nella visione di un’ecologia integrale risuonano con forza le parole della Laudato Si’: «Dio ci ha unito tanto strettamente al mondo che ci circonda, che la desertificazione del suolo è come una malattia per ciascuno, e possiamo lamentare l’estinzione di una specie come fosse una mutilazione». (LS 89)
Ma possiamo parlare di biodiversità anche per l’umanità, considerando la varietà di popolazioni ed etnie con le loro dimensioni tipiche dell’essere umano, come quella culturale, artistica, storica, tradizionale e religiosa.
Perdere queste dimensioni significa anche perdere un patrimonio di conoscenza prezioso per la conservazione della biodiversità e la gestione sostenibile delle risorse.
Infatti, spesso le diverse tradizioni sono legate ad aree geografiche specifiche che custodiscono un sapere antico su quel determinato ambiente, come la conoscenza di piante medicinali, tecniche di agricoltura sostenibile, gestione delle acque, e previsioni meteorologiche.
Nella sua enciclica sulla cura della casa comune Papa Francesco non ha paura di affermare che l’estinzione di una cultura può essere grave tanto quanto l’estinzione di una specie animale o vegetale. E aggiunge che anche la scomparsa di una virtù può portare a gravi conseguenze ambientali.
Cito: «La sobrietà e l’umiltà non hanno goduto nell’ultimo secolo di una positiva considerazione. Quando però si indebolisce in modo generalizzato l’esercizio di qualche virtù nella vita personale e sociale, ciò finisce col provocare molteplici squilibri, anche ambientali. Per questo non basta più parlare solo dell’integrità degli ecosistemi. Bisogna avere il coraggio di parlare dell’integrità della vita umana, della necessità di promuovere e di coniugare tutti i grandi valori». (LS 224)
La sobrietà e l’umiltà. La prima è una virtù chiamata anche temperanza cioè la capacità di padroneggiare sé stessi nelle azioni e nei desideri. Pensando alla cura della nostra casa comune invece è quella virtù che ti fa avere la pazienza di fare bene la raccolta differenziata, non ti fa usare la macchina se potresti andare a piedi, non ti fa sprecare l’acqua, il cibo, la luce, il vestiario, che ti fa condividere le cose superflue e ti fa riflettere sulle conseguenze delle tue azioni. E non è sinonimo di privazione o di rinuncia alla felicità ma un modo di vivere attento e consapevole, che ti permette di non cedere agli impulsi immediati e di agire in modo responsabile nei confronti di noi stessi, degli altri e dell’ambiente.
Qualche giorno fa passeggiando lungo la riva del mare i miei occhi si sono posati su dei rifiuti di plastica lasciati sulla spiaggia. Volevo far finta di non averli visti perché raccoglierli voleva dire tenerli in mano…ma, consapevole del danno che comporta disperdere i rifiuti nell’ambiente, ho scelto di farlo, depositandoli alla fine del cammino nel secchio di raccolta.
Un mio alunno sedicenne, alla conclusione del progetto ambientale che portavo avanti con la sua classe, mi ha confidato che era stato bello “perdere tempo” per fare piccoli atti di risparmio energetico come spegnere le luci inutili, non sprecare il cibo, fare la raccolta differenziata e così via, perché aveva capito che, anche questo, era un modo per vivere quella “cultura del dare” che il progetto poneva alla base della salvaguardia dell’ambiente.
E poi c’è l’umiltà. Sembra una virtù quasi estinta dato che la sua assenza sta generando un mondo dominato dall’egoismo, dalla competizione e dalla violenza. Eppure è così preziosa!
Nel contesto ambientale questa virtù ci invita a riconoscere la nostra interdipendenza con la natura, a rispettare i suoi limiti e a vivere in armonia con essa.
La sua mancanza, invece, ci porta a sentirci padroni dell’ambiente, a considerare il pianeta come un sistema che può sopportare all’infinito i nostri abusi, senza che questo comporti alcun effetto negativo.
Il climatologo Antonello Pasini continua a ricordarci da anni che la natura invece non è inerte e plasmabile a piacere da parte di un essere umano che si considera “superiore” ad essa ma risponde alle nostre azioni come dimostrano anche i cambiamenti climatici in atto.
Ma l’umiltà è anche il ponte che ci collega al prossimo. Ci permette di guardare oltre le nostre convinzioni e di aprirci a prospettive diverse, di entrare nel cuore di chi è diverso da noi, di capire i suoi sogni, le sue paure, le sue emozioni.
È quell’atteggiamento che Chiara Lubich definiva “farsi uno”, “vivere l’altro”, e che è in grado di suscitare quella reciprocità che contribuisce all’unità.
Giovanni Prestinice, adolescente di Crotone, uno dei 29 giovani premiati a maggio scorso dal Presidente Mattarella per il loro comportamento, di fronte al tragico naufragio di Cutro in cui hanno perso la vita 94 persone migranti di cui 34 bambini, ha pensato di mostrare vicinanza alle vittime attraverso un’azione semplice e profonda: conoscere e condividere le loro storie. Non si è posto al di sopra degli altri, ma si è messo al loro fianco.
È quello che anche la nostra rivista Città Nuova, insieme a tante altre, cerca di fare ogni giorno, dando voce alle testimonianze di chi ha scelto di vivere per un mondo più unito, di costruire la pace.
Con papa Francesco possiamo ripetere a noi stessi ogni volta che il mondo cerca di convincerci del contrario che: «Occorre sentire nuovamente che abbiamo bisogno gli uni degli altri, che abbiamo una responsabilità verso gli altri e verso il mondo, che vale la pena di essere buoni e onesti» (LS 229).