Bill Biggart il reporter delle torri

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Sono molti i reporter morti nel compiere il loro mestiere, anche recentemente. Il racconto degli ultimi istanti di vita di Bill Biggart, è impresso nei suoi rullini, trovati sotto le macerie con le macchine fotografiche insieme ai suoi pochi resti. Fotografo free-lance, è rimasto ucciso dal crollo della seconda delle Twin Towers, a Manhattan l’11 settembre, sotto la quale era accorso per salvare sulla sua pellicola, come qualcuno ha detto, più volti umani possibile. Egli non amava il teleobiettivo: reporter di guerra in Palestina, era il tipo da andare in battaglia con un obiettivo tradizionale, da 35 millimetri, ideale per i primi piani, il più simile alla visione dell’occhio umano senza lenti. «Se c’è una cosa che mi ha insegnato – ha ammesso un collega – è che a volte la foto è dietro di te, nelle facce delle persone che stanno a guardare». Mentre il disastro si svolgeva attorno a lui, Biggart, lo testimoniano le sue trecento foto, puntava l’obiettivo su un pompiere che avanza nella cenere, su un uomo coperto di fuliggine che cerca a terra i suoi occhiali, sulle espressioni tese e concentrate dei pompieri ignari del prossimo crollo. Vengono alla mente le parole di Emmanuel Lévinas quando afferma: «Solo un io vulnerabile può amare il suo prossimo. Un io che muore a sé stesso, che sospende il proprio giudizio, un io sloggiato dalle proprie certezze». VIDEOCASSETTE Bentornato commissario Maigret Gino Cervi, il Maigret più famoso del piccolo schermo, torna in videocassetta. Per i tipi della Elleu sono in arrivo in edicola 16 episodi fra i più famosi dello scrittore Georges Simenon, da Un Natale di Maigret a La vecchia signora di Bayeux, andati in onda, con grande successo, in Rai dal ’64 al ’72. Una chicca per i non più giovani appassionati del commissario, armato solo di pipa e bombetta, ed una occasione per i più giovani di immergersi in un’atmosfera di gustabile suspance e raffinata arguzia. IN LIBRERIA Tarkovskij, le confessioni di un’anima inquieta Per lui i «frutti della vita spirituale» erano gli unici a possedere davvero un valore. Il suo diario dal 1970 al 1986, anno della sua morte a Parigi, arriva in questi giorni in libreria con il titolo Martirologio (Edizioni della Meridiana) dopo qualche anno dall’edizione originale in francese. Martirologio perché, come Tarkovskij afferma. «il sacrificio è l’unica modalità di esistenza della personalità». Nel cinema «forse l’espressione dell’arte la più intima, la più personale » egli aveva trovato l’espressione più adeguata della sua intensa e non poco tormentata vita spirituale: «Voglio fare un film che si possa paragonare, per la sua profondità ad un atto di vita. È ovvio che tutti si offenderanno e proveranno a mettermi alla gogna». Tarkovskij, di nobili origini, morì in esilio, con un crescente affinamento della sua sensibilità religiosa: «L’arte è una necessità religiosa dello spirito, ove ogni visione è visione dell’ultima verità, e l’artigiano l’ultima attività: la trasfigurazione di sé stesso e degli altri. (…) La vera poesia è proprio delle anime religiose. Un senza-Dio non può essere poeta». In concomitanza con la pubblicazione nasce a Firenze, città che ha ospitato il celebre scrittore e regista russo, un centro studi a lui dedicato, sul modello di quanto esiste a Parigi da tempo.

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