BigRom: storia di un gigante buono a Milano
Romelu Lukaku si era presentato alla prima di campionato con uno sguardo infuocato, dopo avere realizzato un calcio di rigore, in direzione di quella curva cagliaritana dove un gruppo di scriteriati si era reso protagonista di cori razzisti. Era arrivato in agosto nella nuova Inter di Antonio Conte, che lo aveva voluto a tutti i costi personalmente, per sostituire uno dei centravanti più chiacchierati della storia nerazzurra, più per le bizze mediatiche che atletiche: Mauro Icardi, con tutto l’inevitabile peso del paragone in agguato, ad ogni scorcio negativo di gara. Ma a nessuno erano passate inosservate le sue spalle, a dir poco larghe, per sorreggere questo e ben altro peso: “un gigante buono a Milano”, recitava l’originale trailer lanciato dalla stessa Inter per presentare il nuovo acquisto, mutuando qualche ombra di “Godzilliana memoria”, sulla cui storia, sconosciuta probabilmente ai più, vogliamo soffermarci.
Il padre calciatore e la povertà
«Mio padre era stato un calciatore professionista… ma a fine carriera e i soldi se ne erano andati. La prima cosa a sparire fu la TV via cavo: niente più calcio, niente più segnale…», ha rivelato poco più di un anno fa, ai colleghi del The Player’s Tribune, Romelu Menama Lukaku Bolingoli, nato il 13 maggio 1993 ad Anversa (Belgio) da famiglia congolese appassionata di calcio, dove il padre era un ex giocatore della nazionale dello Zaire (oggi Congo). «Poi capitava di tornare a casa e la luce non c’era più, niente elettricità per due o tre settimane. A volte volevo fare un bagno e non c’era acqua calda, così mia mamma ne scaldava un po’ sul fornello e io me la versavo in testa con una tazza. Sapevo che eravamo in difficoltà, ma quando la vidi allungare il latte con l’acqua capii che avevamo toccato il fondo. Che questa era diventata la nostra vita. Quel giorno feci una promessa a me stesso. Fu come se qualcuno, schioccando le dita, mi avesse svegliato. Sapevo esattamente cosa dovevo fare e cosa avrei fatto. Non potevo vedere mia madre vivere in quel modo. La gente ama parlare della forza mentale nel calcio. Beh… mi ricordo quando con mio fratello e mia mamma stavamo seduti al buio, recitando le nostre preghiere e pensando, credendo, sperando…».
A 16 anni la firma con l’Anderlecht
«Un giorno la trovai in lacrime, ma le dissi che tutto sarebbe cambiato, che avrei giocato nell’Anderlecht. Volevo diventare il miglior goleador nella storia del Belgio, questo era il mio obiettivo. Non uno dei tanti, non il più bravo. Il migliore. Giocavo con così tanta rabbia per i topi che circolavano nel nostro appartamento. Per come i miei genitori quel giorno mi avevano guardato… Vorrei che mio nonno fosse qui per vedere tutto questo, per vedere la vita che possiamo fare adesso. Vorrei poterlo chiamare per dirgli ‘Vedi? Te lo avevo detto. Tua figlia sta bene, non ci sono più topi in casa, non dobbiamo più dormire sul pavimento…». Eppure, il primo contratto da professionista con le giovanili della squadra belga non è facile. L’allenatore lo relega spesso in panchina e così, durante un allenamento di settembre, Romelu sfida il coach: «Se mi farai giocare, farò 25 gol entro dicembre». «Fu la scommessa più sciocca che un uomo avesse mai fatto – racconterà Romelu -, il mister accettò ed io raggiunsi 25 gol a novembre. Che serva da lezione: mai scherzare con un ragazzo affamato!».
Un bomber esplosivo
Inevitabile la promozione in prima squadra, con la quale sigla 41 gol in 98 match tra il 2009 e il 2011, attirando le attenzioni dei club di mezza Europa. Lo acquista il Chelsea, ma nei blues lo spazio è poco, vedendolo transitare allora in prestito tra West Bromwich ed Everton. Figurarsi se un affamato come Romelu può perdersi d’animo: nel 2015, diventa il giocatore più giovane a raggiungere e superare la soglia di 50 gol nel campionato inglese, convincendo il Manchester United di Josè Mourinho ad assicurarselo per la mostruosa cifra record di 90 milioni di sterline, mentre diventa il bomber più prolifico di sempre nella nazionale belga. La promessa, non fosse altro che per i gol, è già praticamente vinta per questo ragazzone dalla stazza imponente, potente come un panzer e soprattutto tanto efficace sotto porta quanto bramoso di migliorarsi ogni giorno. «Ho visto troppi topi correre dentro la mia stanza, ho tanta rabbia dentro. Ho una missione» ripete talvolta, oltre la barriera del pregiudizio e del “non ce la puoi fare”, sempre e comunque.
Se il fratello Jordan è già terzino della Lazio da qualche anno, Romelu si è presentato a suon di gol in Italia da un paio di mesi per smentire le voci di “goffo paracarro” troppo frettolosamente fatte circolare da qualche detrattore. Dopo 11 giornate, 9 reti, come quel Ronaldo lì, “il Fenomeno”… E sembra proprio che, con una fame simile, il meglio, per tutta la famiglia Lukaku, debba ancora venire.