Bielorussia-Italia, andata e ritorno

Un braccio di ferro destinato, in ogni caso, a lasciare il segno. La vicenda è oramai più che nota. Maria, la bambina bielorussa accolta da una famiglia genovese e per settimane nascosta per evitarne il rimpatrio, è una delle migliaia di bambini che ogni anno vengono accolti in Italia per un periodo di decontaminazione dopo la terribile esplosione di Chernobyl di cui proprio quest’anno ricorre il ventesimo anniversario. 26 aprile 1986. Una data che ha segnato tragicamente la vita di milioni di abitanti di Ucraina, Bielorussia e Russia. Quel reattore nucleare che esplose nella cittadina ucraina, a poco più di 100 chilometri da Kiev, continua a condizionare la vita di intere popolazioni, di chi c’era e di chi sarebbe nato dopo. Le vittime di Chernobyl sono ormai 200 mila, mentre cancro, leucemia, sindromi immunodepressive, legati alla persistenza nel tempo delle dosi di radiazioni, continuano a mieterne di nuove. Una tragedia, dunque, che, come spesso succede, ha messo in moto una catena internazionale di solidarietà. Tra le tante iniziative tese a dare una mano ai Paesi contaminati da queste radiazioni, un posto di rilievo assume l’ospitalità offerta da molti Paesi europei e in particolare dall’Italia ai bambini di Chernobyl, bambini provenienti soprattutto dalla Bielorussia che una o due volte l’anno vengono ospitati presso delle famiglie. È stato dimostrato infatti a suo tempo con degli studi scientifici che con una permanenza di 50-60 giorni in un ambiente sano, si riesce a scaricare il 60-70 per cento della radiazioni accumulate durante l’anno. La situazione in Bielorussia non è certo delle migliori sotto tanti punti di vista. Il Paese, che nel 1986 subì il 70 per cento degli effetti dell’esplosione di Chernobyl, paga ancora un prezzo pesante col 23 per cento della popolazione raggiunta dalle radiazioni. A tuttoggi un milione e trecentomila persone vivono nella zona contaminata, e tra questi numerosi sono bambini. L’economia è in ginocchio. Ci sono 32 mila orfani che si cerca di accogliere in orfanotrofi o internati, istituti che ospitano bambini con problemi fisici o psichici. Molto spesso sono figli di alcolizzati che o muoiono giovani o comunque li abbandonano per le strade. È evidente che la possibilità di uscire per un periodo da un Paese così, rappresenti una speranza non indifferente per questi bambini. Sono davvero numerose le associazioni che in Italia si attivano per organizzare queste vacanze terapeutiche, rivolte sia a bambini con famiglia, che ai piccoli senza genitori. E il caso della piccola Maria ha evidenziato come non sia così semplice gestire questo rapporto. Varie e contrastanti le voci che si sono levate a difesa o contro l’operato dei coniugi Giusto che, scoperto che la bambina avrebbe subito violenze in orfanotrofio, hanno fatto di tutto per impedire che vi facesse ritorno al termine del soggiorno italiano. Il timore che la vicenda di Maria comprometta anni di rapporti con le autorità bielorusse appare più che fondato. Anche perché il presidente bielorusso Lukashenko aveva già in passato bloccato questi viaggi della speranza facendo marcia indietro solo dietro pressione internazionale. Se ciò avvenisse sarebbe una tragedia umanitaria , sostiene Tamara Shukina, coordinatrice dell’associazione di Minsk che smista i bambini in Italia. A rischio oltre alle vacanze terapeutiche sarebbero le richieste di adozione già ferme da anni e poi gli orfanotrofi che contano molto sul contributo di 35 mila famiglie italiane, venuti meno i quali sarebbe difficile garantire l’assistenza ai bambini così come i salari ai funzionari. È per questo che Antonio Bianchi, a nome del Consiglio di presidenza dell’Avib (Associazione di italiani per la Bielorussia) che riunisce 85 associazioni si è espresso in maniera decisa. A cominciare da una puntualizzazione: I coniugi Giusto non sono affatto genitori affidatari, come erroneamente continuano a chiamarli i mass media, ma sono una famiglia accogliente. Non sono infatti le famiglie italiane che individualmente invitano i bambini e gli adolescenti bielorussi nelle proprie case, ma le associazioni di volontariato, con progetti approvati dal Comitato tutela minori stranieri. Il rischio è che si mettano in crisi tanti anni di amicizia e cooperazione con la Bielorussia di cui l’accoglienza in Italia è solo un aspetto. Ci sono infatti viaggi in quel Paese con camper, auto, camion e lunghe attese alle frontiere; visite negli orfanotrofi e nelle case famiglia; rapporti di collaborazione con direttori, insegnanti, interpreti e semplici abitanti del posto che hanno un senso straordinario dell’ospitalità. È un’amicizia fatta anche di consegne di aiuti umanitari eseguite da gente italiana che utilizza così le proprie ferie. In silenzio, umiltà, senza secondi fini, se non l’amore per un Paese segnato dalla tragedia di Chernobyl e da difficili condizioni di vita. L’amore per un Paese, quindi, e l’amore per ciascuno dei bambini ospitati che dovrebbe essere il movente principale di questo rapporto oramai ventennale. Perché l’interesse superiore è quello del fanciullo , come affermato nella Convenzione per i diritti del fanciullo. Quell’interesse che va ricondotto comunque dentro i percorsi di una legalità dove il diritto e la coscienza devono venirsi incontro. L’impegno delle associazioni Non dimentichiamo che spesso vi sono grandi sacrifici dietro un viaggio Bielorussa-Italia, tanta generosità e gratuità. Lo abbiamo detto, sono davvero numerose le associazioni che nel nostro Paese si occupano di questo, o sono nate proprio per questo. Ne abbiamo incontrato una, a Bracciano, vicino Roma. È l’Associazione diocesana di volontariato Progetto Bielorussia, fortemente sostenuta dal vescovo di Civita Castellana sin dal suo nascere. I primi gruppi di bambini bielorussi sono giunti nella no- stra diocesi nel febbraio 1994 – afferma Bruno Bianchi, ispettore di Polizia in pensione, volontario a tempo pieno nell’associazione -. Con una grande opera di sensibilizzazione si giunse alla costituzione di gruppi di accoglienza in grado di ospitare circa 1100 bambini che venivano in maggior parte una volta l’anno fino alla maggiore età. Molti ragazzi, una volta cresciuti, vengono sostenuti all’università, molte famiglie italiane hanno rapporti stabili con quella bielorussa aiutata. Alcuni hanno la famiglia, altri vengono da orfanotrofi, per cui è successo che la famiglia italiana ha finito per adottarlo anche a 16, 17 anni, in modo da garantirgli un futuro. Nel contempo venivano raccolti viveri, indumenti, medicinali e strumenti sanitari da inviare sistematicamente ad ospedali ed orfanotrofi. Poiché ovviamente i minori soggiornanti in Italia erano solo una parte dei bambini di Chernobyl, nacque l’idea di fare qualcosa in loco. Di qui l’iniziativa per la costituzione della casa di prima accoglienza La misericordia di Dio a Minsk, dove vengono ricoverati i bambini trovati abbandonati per le strade, assistiti fino a quando le autorità li reinseriscono in famiglia o li sistemano in orfanotrofio. La casa la gestiamo noi in collaborazione col comune di Minsk, – continua Bruno Bianchi -. Noi sosteniamo economicamente il personale con 8-10 mila euro annui, loro contribuiscono pagando i servizi. Abbiamo poi la Fondazione pace per i bambini che provvede a preparare in Bielorussia tutta la documentazione necessaria per l’espatrio. La generosità delle famiglie E alle famiglie cosa è chiesto? Le famiglie che accolgono si accollano le spese di viaggio, l’assicurazione, l’accompagnatore, il vitto, circa 400 euro a volta – risponde il presidente Piero Gatta -. Io ho conosciuto diverse famiglie che per accogliere questi bambini rinunciano alle vacanze estive. È commovente veder la loro ansia all’arrivo e quanto costa il distacco alla partenza, sia per la famiglia che per il bambino. E’ sicuramente un’opera altamente umanitaria quella che facciamo, che cresce con un passaparola spontaneo oltre che con incontri organizzati. Noi come associazione ci accolliamo tutta la parte burocratica che è notevole, in modo che la famiglia non debba farsene carico . E poi una considerazione personale: Quando siamo andati la prima volta a Minsk mi ha colpito vedere la data di morte di tutti i cimiteri, 35-38 anni. Le persone lì non hanno soldi, molto spesso si ubriacano con la droga di Stato, la vodka, ed è facile che muoiano di cirrosi. Quando sono ubriachi spesso tornando a casa violentano le mogli, buttano fuori i bambini da casa perché non ce la fanno a mantenerli, a volte muoiono assiderati. Ecco l’importanza della casa di accoglienza . Ricordi ce ne sarebbero tanti. Come quello di una bambina che non camminava più e che, dopo lunghe trattative con le autorità si è riusciti a portare in Italia dove viene curata da anni. Ognuno amato singolarmente, seguito perché si trovi bene. Franco Migani che prima faceva il comandante dell’aeronautica, segue nell’associazione in particolare la parte dei viaggi. Parla delle varie cittadine della Bielorussia con dovizia di particolari. Quando si va là è come sottoporsi a una settimana di raggi x, dice, (e lui di questi raggi x ne fa davvero tanti) però è bello che le famiglie italiane vogliano andare a vedere sia i bambini sul posto, sia la casa messa su con il loro contributo. È importante conoscere da vicino le condizioni di vita davvero precarie di chi vive con 100 euro al mese….

Edicola Digitale Città Nuova - Reader Scarica l'app
Simple Share Buttons