Biden, Putin e la diplomazia dei popoli
«Conosci Vladimir Putin. Credi che sia un killer?». «Lo credo». La domanda diretta del giornalista della rete televisiva ABC, George Stephanopoulos, e la risposta decisa del presidente americano Joe Biden hanno mostrato al mondo un cambio di passo nelle relazioni tra Mosca e Washington. Biden e Putin si conoscono da tempo, ma la relazione tra i due non è mai stata all’insegna dell’amicizia. Nel 2011, durante un viaggio in Russia, Biden, allora vicepresidente, aveva detto a Putin, primo ministro che nei suoi occhi non vedeva un’anima e l’altro di rimando aveva risposto: «Ci capiamo».
L’intervista di mercoledì scorso conferma che tra i due i rapporti permangono tesi e rischiano un ulteriore inasprimento. Biden è arrivato davanti alle telecamere dopo aver ricevuto un rapporto dell’intelligence dove si evidenziava che Putin aveva ordinato un’operazione di influenza sulle elezioni statunitensi del 2020 per danneggiare la campagna di Biden, sostenere Trump e dividere l’elettorato.
Lo stesso rapporto provava poi che gli hacker russi erano dietro al sofisticato attacco alle 18.000 reti gestite dalla SolarWinds, la società a cui era stato concesso l’appalto per le comunicazioni governative, per le operazioni di alcuni istituti bancari e altre società private. Alla domanda di Stephanopoulos sul prezzo che Putin avrebbe dovuto pagare, il presidente americano è stato sibillino dicendo che «Il prezzo che pagherà lo vedremo a breve», senza precisare se si intendessero ampliare le sanzioni, già emesse in gennaio a seguito dell’arresto dell’attivista dell’opposizione Navalny o se altre azioni erano in cantiere.
La reazione russa è stata proporzionata alla retorica statunitense, con il richiamo dell’ambasciatore russo negli Usa, cosa che non avveniva da due decenni, per discutere l’evoluzione delle relazioni tra i paesi e con commenti ironici e taglienti da parte di Putin sulla salute del presidente americano e sull’essere un killer al pari di lui, poiché i pari si conoscono.
I temi dell’intervista non sono nuovi. Biden li ha aveva ribaditi al leader russo durante la prima chiamata, a poche settimane dal suo insediamento, quando i due avevano deciso di estendere di altri cinque anni l’accordo New Start e limitare, così, le dimensioni degli arsenali nucleari strategici dei due paesi. Durante la chiamata il presidente americano aveva parlato dell’avvelenamento degli attivisti dell’opposizione e dei diritti umani violati. Aveva poi parlato dell’attacco informatico a SolarWinds e delle interferenze elettorali, ribadendo che la Russia avrebbe pagato un prezzo.
Stavolta quello che è cambiato è la platea, molto più ampia di una telefonata poi raccontata in conferenza stampa. Ma è anche cambiato il contesto: il rapporto prova queste ingerenze e richiede una reazione proporzionata che si spera non mini «il reciproco interesse a lavorare insieme», ribadito dallo stesso presidente americano nel proseguo dell’intervista e dallo stesso portavoce della Casa Bianca.
«Il presidente Biden e il presidente Putin hanno certamente prospettive diverse sui rispettivi paesi e su come affrontare il loro impegno nel mondo, ma dove sono d’accordo è che dovremmo cercare modi per lavorare insieme», ha detto Jen Psaki, menzionando la cooperazione sull’estensione del nuovo trattato Start e l’iniziale partecipazione russa all’accordo sul nucleare iraniano.
Il compito più difficile sarà ora sviluppare una nuova strategia globale che trovi il giusto equilibrio tra il contenimento di Mosca e il suo coinvolgimento in aree di interesse comune. Per l’ex ambasciatore americano a Mosca, Michael McFaul, sarà possibile solo se l’amministrazione Biden si liberà di miti che ostacolano un’analisi della Russia di Putin, che non è una potenza in declino, nonostante le tendenze demografiche negative e il ritiro delle riforme del mercato.
Putin ha investito molto nella modernizzazione nucleare e nel potenziamento delle forze convenzionali. Ha sviluppato avanzati sistemi di cybersecurity e può contare su rapporti con la Cina ben più favorevoli di quelli Usa. E se da un lato i suoi scienziati hanno fatto fiorire la Silicon valley americana, dall’altro l’efficacia del vaccino Sputnik potrebbe ristabilire una differente leadership scientifica.
McFaul suggerisce di aprire un dialogo con il popolo russo e smetterla di demonizzarlo, rendendo anzitutto consapevoli gli americani che «i russi non hanno interferito nelle elezioni americane del 2016; Putin l’ha fatto. Non sono i russi ad aver annesso la Crimea ma Putin. Non tutti i russi che lavorano negli Stati Uniti stanno cercando di rubare la proprietà intellettuale americana, e non tutti gli studenti russi negli Stati Uniti sono una spia». Questa diplomazia dei popoli potrebbe gettare le basi per una diversa collaborazione tra i due paesi anche nel dopo Biden e nel dopo Putin.