Biden, Putin e l’ombra di Trump

Le nuove dichiarazioni di Putin sulla dottrina nucleare russa, e le decisioni di Biden sulla fornitura di nuove armi all'Ucraina, alzano il livello dello scontro bellico in attesa delle scelte annunciate dal nuovo presidente Trump. Intanto Parigi e Londra ipotizzano l'invio di truppe regolari francesi e inglesi sul teatro di guerra dove sono già presenti soldati dalla Nord Corea a sostegno della Russia
Mercato di souvenir a San Pietroburgo, Russia, 6 novembre 2024 EPA/ANATOLY MALTSEV

Ogni giorno che passa la drammatica crisi ucraina rischia di trasformarsi in un conflitto globale dalle conseguenze imprevedibili. L’invasione russa del 2022, denominata fantasiosamente da Putin “operazione militare speciale”, pur non avendo raggiunto i suoi scopi immediati (l’occupazione dell’Ucraina intera e la sostituzione del governo di Zelens’kyj con uno filorusso), si è impantanata in una guerra di logoramento.

Anche se Kiev ha enormi difficoltà a resistere nonostante gli aiuti militari e finanziari occidentali (statunitensi in primis), Mosca, pur dotata di una forza teoricamente soverchiante, non è riuscita fino ad oggi a prevalere, pur proseguendo nella sua lenta avanzata. Il ricorso  alle truppe nord coreane, oltre ad allargare il quadro del conflitto armato, è comunque un segnale di una certa difficoltà da parte del Cremlino nel reclutare truppe fresche per il fronte (anche se il contingente nordcoreano non ha esperienza sul campo di battaglia ed è numericamente limitato rispetto alle centinaia di migliaia di soldati russi colà impiegati).

La recente vittoria elettorale di Trump e le sue ventilate volontà di far concludere la guerra in 24 ore (promesse elettorali?), avendo fatto comprendere che non intende più sostenere l’Ucraina come ha fatto sinora Biden, è un altro elemento posto sul tavolo di questa tragica partita tra la Russia e gli Stati Uniti.

Questo elemento costringerebbe (il condizionale è d’obbligo) Zelenskij a delle trattative accettando controvoglia riduzioni territoriali significative, a partire dalla Crimea e dal Donbass, e rinunciando alla rivendicazione dell’integrità nazionale. E non a caso Putin ha mostrato alcuni segnali di disponibilità dei confronti di Trump (vedasi il caso della loro fantomatica telefonata, riportata dal Washington Post).

Ad oggi la partita è giocata comunque dall’amministrazione Biden (uscente) da un lato e da Putin (inamovibile) dall’altro, in un crescendo di minacce e di armamenti esibiti e/o dichiarati, come le armi nucleari russe.  

 

L’autorizzazione statunitense ad utilizzare i missili balistici a corto raggio Atacms (300 km, prodotti dalla Lockheed Martin) per colpire il territorio russo rappresenta un’altra tappa critica nella politica seguita sinora dalla Casa Bianca, che aveva vietato l’utilizzo delle sue armi fornite a Kiev per un attacco diretto contro il paese aggressore. Peraltro il raggio limitato d’azione dei missili Atacms non costituisce una svolta significativa nella guerra e, a detta degli esperti, il Cremlino conseguentemente sta arretrando le sue basi d’attacco in zone più sicure.

Se teniamo conto della dottrina nucleare russa basata sul nuovo decreto esecutivo del 19 novembre scorso circa i principi fondamentali della deterrenza nucleare, ci accorgiamo di significative e preoccupanti novità.

Il testo è vago e ambiguo, ma, come sottolinea il professor Alessandro  Pascolini dell’Università di Padova, già il 25 settembre scorso Putin aveva evidenziato i nuovi principi alla base di un eventuale utilizzo dell’arma nucleare nel caso di: 1) eventuale aggressione alla Russia da parte di uno stato non nucleare, ma con la partecipazione o il sostegno di uno stato nucleare; 2) acquisizione di “informazioni affidabili su un lancio massiccio di armi di attacco aereo e spaziale e sul loro attraversamento del nostro confine di stato”; 3) aggressione con armi convenzionali contro la Russia e la Bielorussia (in quanto membro dello Stato dell’Unione) che ne minacci la sovranità.

Si passa sostanzialmente da un eventuale uso in seguito anche ad un attacco convenzionale minacciante l’esistenza della Russia ad uno minacciante la sua sovranità. Il ventaglio delle opzioni quindi diventa più ambiguo, sfuggente e sostanzialmente dà ampia libertà a Putin nella valutazione delle situazioni e nelle conseguenti decisioni, potenzialmente lasciando i Paesi europei (UE e NATO) soli di fronte alla gestione di quel conflitto armato. Inoltre, già oggi circola l’ipotesi di un possibile invio di truppe regolari francesi e inglesi a sostegno delle forze armate ucraine.

Tutto ciò, come si vede, fa aumentare il rischio di un’escalation del conflitto, mentre ci si interroga sulle motivazioni che hanno spinto l’amministrazione Biden ad autorizzare l’uso di quei missili sul territorio governato dal Cremlino.

Un’ipotesi è quella di voler permettere a Zelens’kyj di sedersi al tavolo delle trattative in una posizione non di conclamata debolezza di fronte ad un avversario che, seppur lentamente, sta prevalendo sul campo di battaglia. Bisogna però ricordare che l’uso di questi missili (a gittata comunque limitata) non sarà certo risolutivo del conflitto, come non lo sono stati i carri armati e gli aerei F16 forniti da Washington.

Pertanto è stata avanzata anche l‘ipotesi che Biden stia rendendo a Trump la “pacificazione” molto più difficile, facendo sì che il nuovo presidente non trovi Kiev totalmente prostrata nei mesi prossimi e quindi meno “malleabile”. Dato che l’uso di quei sistemi missilistici è governato proprio da personale statunitense, questo fatto potrebbe rientrare nei casi previsti dalla nuova dottrina nucleare russa, irrigidendo anche le posizioni di Mosca nell’ambito di nuove trattative gestite dal neopresidente americano nel 2025. E peraltro bisognerà verificare se e quando Putin vorrà effettivamente aderire al piano di pace ipotizzato da Trump.

I dettagli del piano di Trump, come già detto, non sono noti, ma è evidente la sua voglia di disimpegnarsi dal conflitto armato in Europa per dedicarsi all’altra potenza concorrente, la Cina, e allo scacchiere dell’Indopacifico, nonché rivedere i rapporti con gli alleati della NATO (ritenuta poco impegnata nella difesa, secondo i canoni di oltre Atlantico) e con l’Unione Europea, da cui ha caldeggiato la Brexit e nei confronti della quale annuncia di voler praticare anche una politica protezionista basata su dazi commerciali.

D’altronde, Trump più volte ha dichiarato l’uso differente che si potrebbe fare con quelle somme destinate all’Ucraina (solo dal 24 gennaio 2022 al 15 gennaio 2023 ben oltre 70 miliardi di dollari per impegni bilaterali di tipo finanziario, umanitario e militare, secondo il Kiel Institute) e che potrebbero andare a beneficio dei suoi concittadini, riscuotendone il favore ma suscitando conseguentemente i timori di Zelens’kyj.

Però occorre tener conto che, se a fine dicembre 2023 gli aiuti militari statunitensi ammontavano a ben 44 miliardi di dollari, essi consistevano in realtà soprattutto in prodotti delle industrie degli armamenti USA e quindi erano somme di fatto riversate dal governo americano nelle casse delle aziende del Paese a stelle e strisce, aziende che godono comunque la simpatia del neopresidente repubblicano (il suo motto è “America first”).

Insomma, in questa partita di guerra in cui si schierano nuove truppe e moderni armamenti, il braccio di ferro Biden-Putin sull’escalation militare è dunque giocato anche in vista della prossima presenza di Trump alla guida della Casa Bianca, mentre intanto l’UE si trova alle prese con una nuova Commissione palesemente incerta nei passi da fare sul piano della politica sia comunitaria sia su quella internazionale.

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