Bibbiano, lo scandalo e la “sfida bianca” del cittadino pensante
Il caso giudiziario di Bibbiano che sta facendo impennare le vendite di taluni giornali scandalistici, distraendo l’opinione pubblica dall’agire dei governanti, e trasformando in giudice chiunque abbia voglia di liberarsi a basso costo dall’angoscia indotta dalla spersonalizzazione del nostro tempo (schermandosi dietro ai social che hanno il potere di rendere vero e buono tutto ciò che ottenga consensi), sta denunciando quanto sia profondo il bisogno identitario. Siamo sommersi da cronaca nera, e i fatti di Bibbiano, qualora il fascicolo giudiziario si chiudesse con delle condanne, sarebbero tra le pagine più scure della storia italiana.
Ma siamo solo all’inizio del processo penale, ed ha senso allora aspettare, e chiedersi perché tanto giustizialismo si sta diffondendo e quali possano essere le cause che stanno trasformando gli indagati in condannati fuori dalle aule di giustizia ovvero attraverso il processo giornalistico. Semplicisticamente potremmo appellarci alla logica delle lobbies, di chi ha interessi da difendere, dall’una o dall’altra parte. Punteremmo allora il dito verso gruppi di pressione formato da operatori e associazioni adultocentriche che hanno interesse a demolire il sistema di tutela dell’infanzia (già fragile per definizione, poiché si occupa di “minori”), per interessi legati al potere, alla notorietà o al tornaconto economico.
Oppure potremmo denunciare gli ultimi governi che si sono succeduti, che hanno ridotto all’osso i finanziamenti per il welfare e per le politiche per l’infanzia (il Fondo, tradizionalmente pari a 44 milioni di euro, dalla costituzione fino al 2010, ha visto una decurtazione a 28 milioni di euro nel 2015. Fonte: Ministero del lavoro e delle politiche sociali), attacco ad un moribondo cui l’attuale governo sta dando gli ultimi colpi letali (l’attuale Governo ha ridotto da 500 a 450 milioni il Fondo per le non autosufficienze, e da 313 a 99 milioni quello quello per le Politiche sociali).
Potremmo altresì schierarci con le famiglie a cui il tribunale per i minorenni, in collaborazione con i servizi sociali comunali, sottrae i figli allorquando ci sono prove di inadeguatezza genitoriale, stando attenti però a non cadere nella banalizzazione: un giudice apre un procedimento di sospensione della responsabilità genitoriale quando occorre accertare la recuperabilità dei genitori, e non per un qualunque disagio o per lo stato di povertà, mettendo intanto il bambino in luoghi sicuri (come comunità educative o famiglie affidatarie); questo procedimento richiede mesi o anni poiché in Italia vige il principio del garantismo che fa decadere un genitore solo dopo l’accertamento di irrecuperabilità.
Potremmo infine scegliere di schierarci acriticamente con gli operatori che l’inchiesta Angeli e demoni sta esaminando, credendo nella loro innocenza senza se e senza ma, poiché tra loro c’è chi ha contribuito a fondare uno dei vigenti sistema di tutela in Italia, tra i più accreditati, e mai potremmo credere che si sia svenduto per poche migliaia di euro. Già, potremmo schierarci, come sta facendo una certa politica che sopravvive per opposizione. E potremmo cercare consensi scatenando odio e rancore inneggiando ai Demoni, oppure identificandoci con gli Angeli e quindi rinforzandone il ruolo di vittima.
A seconda del carro scelto potremmo salire sul trono degli ominicchi travestiti da avvocato in cerca di fette di mercato (non me ne voglia l’anima di Sciascia se lo chiamo incautamente in causa), oppure degli operatori buonisti ad ogni costo, che dimenticano quante volte anche noi professionisti ci lamentiamo di servizi che non funzionano.
Potremmo schierarci ma invece occorre pensare. E aspettare il processo, ricordando che siamo cittadini che, in quanto tali, abbiamo delegato alla terza funzione dello Stato (quella giudiziaria, appunto) la nostra tutela. Così potremmo iniziare a riflettere sulla malattia che ci accomuna ovvero la paura dell’Altro e il conseguente bisogno di distruggerlo. Da questa postazione capiremmo meglio le semplificazioni e le generalizzazioni partitiche, il delirio scandalistico, la ricerca spasmodica del nemico da distruggere, il raptus giustizialista, la moda del massacro.
E potremmo iniziare a fare altro e a ricucire la nostra identità frammentata dallo tsunami delle paure post-moderne, guardando alla complessità in cui siamo immersi come ad un vivaio di esperienze diverse che convivono faticosamente e talvolta fertilmente se si lasciano contagiare. E per fortuna, o per necessità di salvazione della specie, nell’epoca delle passioni tristi e dell’alienazione di massa convivono fermenti di autenticità. Sono i fuochi delle comunità che hanno resistito al logorio del capitalismo perverso; ne sono testimonianza alcuni gruppi sociali impegnati nella promozione di quartieri o borghi, o alcune famiglie che hanno saputo convertire la dimensione di caporalato in dimensione degli affetti, o un certo volontariato che è rimasto immune dalla logica del contraccambio e che ha saputo rimanere centrato sul valore della gratuità. Un fuoco, piccolo ma diffuso, è anche quello delle comunità dei professionisti dell’aiuto che hanno scelto come mestiere quello di aiutare autenticamente gli altri ad uscire dalle solitudini esistenziali, a riscoprire il proprio potenziale relazionale ed a metterlo a frutto, in primis di chi si occupa di bambini e ragazzi, con competenza e passione (e spesso col portafogli vuoto) senza cedere alle lusinghe del prestigio e della notorietà (“fare strada agli ultimi senza farsi strada”, direbbe don Lorenzo Milani).
In un’epoca caratterizzata dal paranoico rinchiudersi in sé – la madre di tanti malesseri e disturbi, poiché l’uomo è una creatura relazionale il cui cervello è fatto per connettersi per tutta la vita –, che ha come conseguenza l’attacco a chi si presume stia sbagliando, e la sua eliminazione, credo che sia corretta un’operazione di attesa: diamoci il permesso di pensare, di aspettare, di tollerare la frustrazione del dubbio, di condannare il comportamento ma non la persona. Mentre, da adulti, pensiamo, liberiamoci dalla tentazione di cercare a tutti i costi il mostro, sia a destra che a sinistra (ammesso che tali categorie ideologiche esistano ancora in Italia) poiché, a ben vedere, il mostro è dentro di noi ogni qualvolta sentiamo la spinta a condannare e a distruggere.
Piuttosto raccontiamoci come stiamo aiutando noi stessi e gli altri a costruire l’appartenenza al genere umano, magari riempiendo i social e le cronache di storie di appartenenza piuttosto che di divisione, unica via di liberazione e di salvaguarda dell’umanità. Ecco la “sfida bianca del cittadino pensante”. Bianca come la vita e la cronaca di migliaia di professionisti e volontari della tutela e dell’educazione, che c’è e che va raccontata, bianca come le scarpette esposte a Bibbiano, che si spera diventino realmente il simbolo del riscatto dell’infanzia da ogni forma di violenza famigliare e di strumentalizzazione istituzionale.