Bianca come il latte, rossa come il sangue

Alessandro D'Avenia Mondadori
Alessandro D'Avenia "Bianca come il latte

Io sono uno di quelli. Sì, di quelli che in un certo senso la vita gliel’ha cambiata un prof alle superiori. Intendiamoci, non è stato solo lui, il prof, ma una triangolazione con alcuni altri “maestri” e la famiglia che fa il suo. A loro devo per sempre il mio grazie. Per questo ho apprezzato l’esordiente scrittore palermitano, Alessandro D’Avenia, giovane di 32 anni. Che ci tiene a essere un prof di quelli che lasciano il segno, coi suoi studenti. Perché crede in quello che fa.

 

Perciò ha potuto scrivere questo libro che si cala con coraggio nel mondo dei suoi studenti sedicenni, e li becca lì proprio nel momento che meno t’aspetti: non solo tra gli stereotipi di motorini i-pod chat calcetto ragazzate… ma in quello dell’incontro col dolore, quando i sogni dell’adolescenza si schiantano nel frontale con la morte.

 

Quando vorresti rivolgerti a Dio, che non sai neppur se poi c’è, per chiedergli perché di quell’assurdità, e t’accorgi che neppure il T9 del cellulare lo conosce: lui invece di Dio scrive Fin. Una cosa m’è piaciuta di D’Avenia: quando gli hanno chiesto se pensasse di mettersi a fare lo scrittore a tempo pieno, lui ha risposto: «No, perché se non sto con i ragazzi non ho niente da raccontare». Un grande scrittore scrive solo se ha qualcosa da dire: può essere un libretto o una biblioteca, come Dostoevskij.

 

Ed anche D’Avenia, ha avuto i suoi maestri: primo di tutti, la sua famiglia folle, cha ha messo al mondo sei figli, tre ragazzi e tre ragazze, trasformando la casa in una specie di manicomio in cui si divertivano e sembrava che ciascuno stesse facendo una cosa diversa, mentre tutti stavano facendo la stessa cosa, come nei film di Frank Capra. La famiglia, che gli ha insegnato a “guardare il cielo con i piedi per terra”.

Poi un prof di lettere, di quelli che ti cambiano la vita.

Poi un insegnante di religione che un giorno non è tornato a lezione: don Pino Puglisi. 

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