Betlemme: il giubileo degli scartati e delle vittime

Siamo chiamati a vivere il Natale del Signore, che si celebra nel giubileo straordinario della misericordia. Il papa ha aperto la porta santa della misericordia al cuore dell’Africa, a Bangui. E poi ha aperto la porta santa nella basilica di san Pietro a Roma, in una singolare corrispondenza storica e spirituale
TERRA SANTA

Venerdì 17 dicembre, papa Francesco ha aperto la porta della carità all’ostello della Caritas presso la stazione Termini di Roma. Ha aperto la porta degli scartati. Ha detto il papa: «Noi oggi apriamo questa porta e chiediamo due cose. Primo, che il Signore apra la porta del nostro cuore a tutti. Tutti ne abbiamo bisogno, tutti siamo peccatori, tutti abbiamo bisogno di sentire la parola del Signore e che la parola del Signore venga. Secondo, che il Signore faccia capire che la strada della presunzione, la strada delle ricchezze, la strada della vanità, la strada dell’orgoglio, non sono strade di salvezza. Che il Signore ci faccia capire che la sua carezza di Padre, la sua misericordia, il suo perdono è quando noi ci avviciniamo a quelli che soffrono, quelli scartati nella società: lì è Gesù».  

Dunque c’è una presenza misteriosa e reale di Gesù negli scartati e, partendo da questo mistero, il papa ci chiede di domandare nella preghiera la grazia di sentirci scartati. È una grazia che chiede per tutti i romani, ma anche per tutti i discepoli del Signore.

Dunque il papa domanda per noi e con noi la grazia della debolezza, della povertà, della piccolezza. C’è come un doppio movimento. Da una parte Gesù è negli scartati e dall’altra il Signore ci chiede se vogliamo custodire la grazia dell’essere scartati, di «avvicinarci agli scartati, ai poveri, a quelli che hanno più bisogno, perché su questo avvicinarci tutti noi saremmo giudicati». Dio si avvicina a noi attraverso gli scartati in cui Dio stesso si incarna e dall’altra noi ci avviciniamo al Padre, nel farci vicini a coloro che il mondo rifiuta e mette fuori.

Betlemme è la porta dei poveri e del Dio povero. Attraverso il presepio di Betlemme si entra nella storia del Dio che si fa povero, per arricchirci con la sua povertà e al tempo stesso le vittime e gli innocenti della storia ci consegnano la povertà di Dio, che svuota se stesso fino alla morte di croce per donare ai poveri e a tutti la buona notizia del Dio della misericordia, del Dio che si fa misericordia, del Dio che vuole portare a compimento il suo giubileo.

Il bimbo deposto in fasce in una mangiatoia, perché non c’era posto per loro nell’albergo, è il volto della misericordia di Dio, di un Dio, che nella sua nascita povera, porta già con sé la parola della croce, la povertà della croce. Dunque nella sua nascita, il mistero della sua morte.

La gioia, la pace, la gloria, la luce, le grandi parole, che avvolgono il bambino di Betlemme, narrano il mistero della incarnazione fino alla morte. Francesco di Assisi ha compreso perfettamente questo, quando ha realizzato il presepio di Greccio.

Si legge nella vita prima di Tommaso Celano: «La sua (di Francesco) aspirazione più alta, il suo desiderio dominante, la sua volontà più ferma era di osservare perfettamente e sempre il santo Vangelo e di imitare fedelmente, con tutta la vigilanza la dottrina e gli esempi del Signore nostro Gesù Cristo. Meditava continuamente le parole del Signore. Ma soprattutto aveva impresse la umiltà della Incarnazione e la Carità della passione. A questo proposito è degno di perenne memoria quello che il santo realizzò tre anni prima della sua gloriosa morte a Greccio, il giorno del Natale del Signore».

Dunque il presepio ci consegna l’umiltà della Incarnazione e la Carità della Passione. Francesco di Assisi ci consegna nel mistero di Betlemme la condizione umiliata della incarnazione e l’amore senza limiti della passione.

Ecco Betlemme come porta della umiliazione, come porta dell’amore, come porta della povertà, come porta della pace. Il giubileo confessa, nella porta di Betlemme, il mistero del Dio povero, che si fa misericordia per tutti, a partire dai piccoli innocenti.

Non possiamo dimenticare che il primo sangue versato dalla violenza degli uomini nei Vangeli, accade a Betlemme con la strage degli innocenti. E il sangue degli innocenti rinvia al sangue della croce, di cui parla l’apostolo, e con cui avviene la pace.

La  porta di Betlemme rinvia al muro, che divide e imprigiona la città. È il muro della inimicizia. E ogni giorno e ogni volta, che si esce dalla città e si entra nella città, c’è il check-point singolare forma di porta giubilare.

C’è una icona della Madonna imprigionata, disegnata sul muro, presso cui, da dieci anni, tutti i venerdì, si prega il Rosario di Maria. Ecco il giubileo che tiene aperta la porta della preghiera, là dove nasce colui che ha distrutto il muro di inimicizia tra i due popoli, facendone uno solo.

Il mistero del Natale, nell’anno giubilare, chiede la conversione ai poveri, come misura della epifania del Dio povero. Invoca la pace in tutte le terre e per tutte le terre: la pace che viene dal cielo e che si fa perdono e riconciliazione per tutti i popoli. Dunque da Bangui a Roma, per arrivare e sostare a Betlemme.

La chiesa italiana arriva a Betlemme e ascolta, dalla porta di Betlemme, quello che il vescovo di Roma le ha ricordato a Firenze, chiedendole di essere una chiesa umile, disinteressata e benedetta, libera dalla ossessione del potere.

L’anno giubilare significa meditare incessantemente queste parole che la chiamano alla penitenza, alla conversione e alla vigilanza, esattamente come i pastori nella notte e nell’attesa a Betlemme. È il tempo favorevole della sua riforma, del suo rinnovamento, abbandonando le antiche nostalgie di potere.

Non dimenticare Betlemme. Ecco il grande impegno giubilare, perché essa è segno del mistero del Dio povero, che da innocente nuore tra i colpevoli, perché le vittime non siano dimenticate, perché si fermi la strage degli innocenti.

E dunque Betlemme si lega a Bangui e al tempo stesso si unisce ad Aleppo, all’Asmara a Bamako, a Ouoagadougou, a Parigi, a Erbil, a Bagdad, a Sana, a Damasco. Un elenco che rischia di non finire, dove il Dio ferito d’amore, si china sui feriti, perché tutti siano sanati dalla grande malattia dell’odio.

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