Betlemme dieci anni dopo l’assedio

La tragedia della Siria, l’elezione del nuovo presidente dell’Egitto richiedono coraggio anche ai gruppi dirigenti palestinesi. Una riflessione sulla Terra Santa un mese dopo le celebrazioni dei dieci anni dell'assedio alla basilica della Natività
basilica della natività Betlemme

Il 5 maggio ero a Betlemme. Si ricordavano i dieci anni dell’assedio alla basilica della Natività e la sua conclusione, drammatica e felice. In un pomeriggio pieno di sole circa tremila persone si sono riunite nell’Auditorium della città per ricordare Giovanni Paolo II a un anno dalla sua beatificazione e il suo impegno per la pace in Terra santa.
 
Molte le autorità presenti, in primo luogo padre Pizzaballa, custode della Terra santa, il sindaco di Betlemme, il nunzio apostolico, la vicepresidente del Parlamento italiano Rosy Bindi, il presidente del comitato olimpico palestinese Jalub, che ha ricevuto il premio per la pace Giovanni Paolo II.
 
L’incontro promosso dalla Fondazione Giovanni Paolo II ha avuto il suo animatore in padre Ibrahime, che è stato il grande protagonista dei giorni dell’assedio. Colpiva il tono di festa, la quantità di gente che ha accolto una reliquia di Giovanni Paolo II, dicendo il rosario, cantando, pregando e, un attimo dopo, ascoltando parole di giustizia sul futuro di Betlemme e della Palestina.
 
In dieci anni molte cose sono cambiate nella Terra santa. Certo oggi non ci sono i carri armati di allora, i morti di allora. Tutto sembra avere assunto una normalità consolante. Anche i chek point sono meno duri. Almeno il 5 maggio è stato possibile andare senza particolari difficoltà a Betlemme. A volte si allunga il giro per entrare in città, ma poi tutto avviene in modo assai rapido, ma non possiamo dimenticare Gaza, che appare come il segno di una contraddizione.
 
Si percepisce in modo forte l’assenza di una politica. I palestinesi non riescono a superare le loro divisioni nonostante le grandi novità che segnano i Paesi arabi impongano nuove riflessioni e nuove scelte. La tragedia della Siria, l’elezione del nuovo presidente dell’Egitto domandano scelte e coraggio anche ai gruppi dirigenti palestinesi.
 
Gli israeliani perseguono la politica dell’arroganza, che non tiene conto né del diritto internazionale né di un sano realismo, che non umili ulteriormente i palestinesi. A mezzogiorno c’è stato il pranzo nella sede di rappresentanza del presidente della Autorità nazionale palestinese Abu Mazen, con gli invitati venuti dall’Italia. Il presidente è stato assente per la morte improvvisa del governatore di Jenin. Ma tutto è avvenuto in modo molto solenne. Ha portato il saluto il segretario della presidenza della Anp e ha risposto Rosy Bindi. Si è respirara una grande amicizia tra italiani e palestinesi, frutto del grande lavoro di padre Ibrahime in questi dieci anni.
 
Oggi appare ancora più chiaro di allora. Se l’assedio alla Basilica della natività fosse culminato in una strage, sarebbe venuta meno la presenza dei cristiani a Betlemme. L’impegno dei frati e il coraggio di padre Ibrahime hanno permesso di evitare la catastrofe e di mantenere Betlemme come segno di pace dentro un conflitto senza fine.
 
Dalle 15.00 alle 17.00 c’è stata una recita continua del rosario con tutti i suoi misteri in una delle sale dell’Auditorium. La voce di Giovanni Paolo II ha dato il tempo della preghiera e donne, bambini, ma anche giovani e anziani hanno rosposto con convinzione e devozione.
 
Davvero questo papa ha avuto un ruolo decisivo nell’agevolare una soluzione positiva, telefonando e incoraggiando padre Ibrahime e inviando un suo delegato speciale nella figura del card. Etchegaray. È stato emozionante ascoltare la sua voce, che chiamava instancabilmente alla preghiera.
 
Nell’Auditorium, stracolmo di gente, sono poi intervenuti  il custode padre Pizzaballa, la vicepresidente Bindi, il presidente del comitato olimpico palestinese, il nunzio e infine padre Ibrahime, che ha ripercorso i giorni drammatici dell’assedio attraverso pagine inedite del suo diario, appena pubblicate, mentre diapositive raccontavano il dramma di quelle ore. E di quei giorni.
 
Pace, giustizia e intercessione: le parole che hanno accompagnato e custodito questo straordinario pomeriggio a Betlemme. Parole che i cristiani di Betlemme non vogliono abbandonare ma, se possibile, testimoniare con ancora più coraggio. Sono le parole che generano la fraternità, senza la quale anche il Medio Oriente si perde.
 

 

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