Berlino déjà vu
La 64esima edizione, chiusa il 15 febbraio, non è stata il massimo, nonostante i 330 mila biglietti venduti. La giuria, formata in massima parte da attori, ha fiutato gli odori orientali e, per darsi un’immagine di modernità, ha premiato film nerissimi, come il cinese Black Coal, Thin Ice di Diao Yinan – storia di corpi sgozzati in un Paese senza più etica –, come spesso si usa fare in certi festival (vedi Venezia) quando le idee sono poche e si vuol essere alla moda.
Molto applaudito Boyhood di Richard Linklater, con la storia di due ragazzi, un viaggio di quasi tre ore nella loro crescita attraverso dodici anni di vita.
È il vecchissimo Alain Resnais che a 91 anni invece segna un passo in avanti nel cinema, nell’incantevole Aimer, boire ed chanter, un autentico inno alla vita, controcorrente rispetto al gusto maligno di tanto cinema, come controcorrente è il nostro Edoardo Winspeare, regista di notevole spessore che meriterebbe di esser ancor meglio valorizzato, applaudito nella sezione Panorama per il suo coraggioso e positivo In grazia di Dio, che è piaciuto ed è stato acquistato. Già, perché i festival sono importanti e anche i premi, ma se poi i film non si vendono, nessuno li può vedere… Speriamo meglio per il 2015.