Bergoglio abbraccia le vittime della mafia

Papa Francesco continua a sorprenderci. L’incontro che ha avuto nella chiesa di Gregorio VII a Roma con i parenti dei morti ammazzati appare come qualcosa di straordinario
Papa Francesco abbraccia don Ciotti nella Giornata in ricordo delle vittime di mafia

Certo siamo rimasti tutti colpiti per le parole che il papa ha rivolto ai capi mafiosi e per l’affetto mostrato verso don Ciotti, ma il punto forte non sta qui. È altrove. Il papa, incontrando i parenti delle vittime di mafia, ha innanzitutto riconosciuto la loro dignità, il loro dolore, il loro coraggio, l’essere segno di colui che per noi si è fatto vittima. Ha detto alla Chiesa e alla società italiana che bisogna ripartire da loro se vogliamo rinnovare la Chiesa e cambiare il Paese.

Prima delle dottrine, delle ideologie, dei progetti culturali, le vittime devono diventare i nostri veri maestri. Nel messaggio per la Giornata mondiale della gioventù, il papa ha scritto in modo solenne che Dio vuole una Chiesa povera, che evangelizza i poveri. Noi potremmo parafrasare che Dio vuole una Chiesa di vittime per annunciare il perdono, che da solo cambia la storia.

I parenti, che sono per noi il volto visibile dei morti ammazzati, hanno trovato consolazione e dignità, come mai prima era successo, ed è ripartendo da loro che è possibile vivere il discepolato del Signore nel nostro tempo. Centinaia di persone che hanno sentito risuonare il nome del loro caro (un padre, una madre, un figlio, un fratello o una sorella) e insieme al papa hanno fatto una memoria che cambia la vita di tutti.

Nomi grandi e nomi piccoli, il cui ricordo ci chiama al coraggio della testimonianza cristiana. Il papa con la sua presenza ha reso visibile la misura della vita cristiana autentica, in un Paese che ha bisogno di ritrovare la misura di una parresia, che non fa sconti alle collusioni, ai silenzi, alle ambiguità che anche molti credenti hanno avuto con la cultura mafiosa.

E allora la memoria disseta, come fonte di acqua viva, la sete di giustizia dei parenti delle vittime di mafia, dei loro amici, di coloro che nella storia sono stati fratelli. Diventa sorgente di perdono, che non è amnistia (cancellazione della memoria), ma vivere un amore più grande della morte che ricostruisce il tessuto della vita comunitaria, senza escludere e condannare nessuno, ma accogliendo e perdonando tutti, senza dimenticare i loro tradimenti, le loro violenze e le loro contraddizioni.

Ecco allora il perdono delle vittime e dei loro parenti, vittime essi stessi perché amputati da una violenza che ha preteso di uccidere la fraternità. Questo perdono, che sale dal cuore, diventa come una energia nuova per la legalità.

Senza legalità non c’è futuro per il nostro Paese, ma questa legalità nasce dalla forma del santo Vangelo, che papa Francesco ha così bene rappresentato in questo incontro. Certo ci vorrà una politica nuova, che ancora non intravediamo, ma questa politica nuova ha bisogno di Chiese e di comunità che non si fermino alla declamazione dei gesti e delle parole, ma sappiano accogliere e riconoscere il volto luminoso delle vittime che indicano la strada del Vangelo della mitezza di fronte al potere demoniaco della violenza.

Ecco il dono di papa Francesco che ci chiama ad attraversare il mare della violenza, per passare alla riva delle vittime, alla riva del perdono e della riconciliazione. Sta qui la conversione della Chiesa e il rinnovamento culturale e civile del nostro Paese.

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