Bergman e le scene di un matrimonio fallimentare

Il regista russo Andreij Konchalovskij mette in scena l’opera del maestro svedese ispirata al suo film. Il racconto di 20 anni della vita di una coppia, di amore e disamore, di complicità e incomprensioni, di verità e menzogne

La storia è nota, legata com’è alla celebre versione cinematografica di Bergman del 1973, e successivamente diventata una trasposizione teatrale, anche se la sceneggiatura fu concepita inizialmente in 6 episodi per la televisione. Il film era, prevalentemente, un lunghissimo e verboso dialogo a due voci con molti primi piani, pochi movimenti di macchina, totale assenza di colonna sonora e un’ambientazione tutta giocata sugli interni. In questo modo lo scomparso regista svedese compiva una meticolosa radiografia di una coppia, analizzata fin nei minimi particolari per cercare la risposta a una domanda: perché tanti matrimoni falliscono?

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Bergman, come in tutti gli altri suoi film, non trova la risposta ma pone una miriade di spunti di riflessione sull’amore, sul rapporto tra i sessi, sulla vita, sull’egoismo, sulla solitudine. Il non detto di Marianne e Johan, una coppia apparentemente felice, finisce con l’esplodere con violenza in seguito alla decisione di lui di abbandonare moglie e figlie per una studentessa. Johan si rivela però come una persona estremamente fragile, vittima delle proprie pulsioni e di un perbenismo fino a quel momento autoimposto. Chi in definitiva riesce ad avere una tenuta più a lungo termine (nonostante l’ansia, le suppliche e gli incubi) finisce con l’essere Marianne nei confronti della quale l’ormai ex marito vorrebbe continuare a mantenere una forma assurda di possesso non concedendole il divorzio ed essendo geloso dei rapporti con altri uomini da lei a sua volta instaurati.

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Vira sulla commedia da camera la messinscena di Andreij Konchalovskij, con interpreti Federico Vanni e YuliaVysotskaja, attrice feticcio e compagna del regista russo, che ha puntato al realismo collocando la storia in un interno domestico – successivamente ufficio – ben dettagliato, con tanto di ambienti definiti, stanze a vista, rumori esterni, mobili, oggetti, e conseguente recitazione dei due bravi interpreti. Trasferisce inoltre la vicenda in Italia, a Roma, datandola, e, incomprensibilmente, ci propina, tra un salto temporale e un altro, una carrellata di filmati ‒ utili per i cambi di scena ‒ degli anni ’60 e ’70 con avvenimenti storici e documentaristici, incluse trasmissioni televisive dell’epoca – per chi le ricorda: Rischiatutto, CanzonissimaCarosello, il colonnello meteo Bernacca ‒ e riferimenti teatrali (i due coniugi sono frequentatori di teatro) come il debutto strehleriano di Casa di bambola di Ibsen. Cambiano anche i nomi dei protagonisti: lui si chiama Giovanni e lei Milanka, una donna russa. La sua nazionalità, ci viene da pensare, forse per la diversità culturale, dovrebbe essere uno dei motivi, in parte, del fallimento della coppia? Se fosse così nelle intenzioni del regista, non viene fatto alcun cenno o riferimento ulteriore che giustifichi e approfondisca tale scelta e visione. Non è irrilevante se nei forti tagli al testo che il regista ha operato rimangano fuori dalla storia le due bambine, figlie della coppia che, nell’economia della vicenda e del contenzioso esistenziale, sono parti comunque fondamentali (si fa riferimento solo al bambino abortito). Insomma, l’acceso duello tra i sessi, la routine contemporanea che grava sul privato, che soffoca sentimenti e rapporti, e arriva a mutare le valenze dei ruoli, ci giunge superficialmente senza quel bisturi che affondi nelle pieghe dei corpi e dell’anima.

“Scene da un matrimonio”, di Ingmar Bergman, regia Andrei Konchalovsky, con Julia Vysotskaya, Federico Vanni, scene e costumi Marta Crisolini Malatesta, luci Gigi Saccomandi, video Mariano Soria. Produzione Teatro Stabile di Napoli – Teatro Nazionale, Fondazione Campania dei Festival – Napoli Teatro Festival Italia. A Napoli, Teatro Mercadante, fino al 17/4; a Genova, Teatro della Corte, dal 14 al 19/5.

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