Beppe del Colle: giornalista di razza
Se l’è portato via il Covid. È stato sul fronte dell’attualità fino a rimanerne vittima, come può accadere ad un giornalista di razza. E Beppe del Colle giornalista di razza lo era. Coerente interprete dei valori evangelici nell’informazione e con un alto senso dell’autonomia professionale, aveva sempre in mente la lezione di don Alberione: «Non bisogna smarrirsi – diceva il fondatore di Famiglia cristiana –, ma pregare e puntare verso la nostra indipendenza di attività nella Chiesa, cercando di passare illesi tra goccia e goccia, senza bagnarsi e senza mescolarsi».
«Ho sperimentato molte volte, con crescente consapevolezza del fatto che avrei dovuto informare a quelle parole di Don Alberione tutta la mia esperienza professionale di giornalista –, scriveva Beppe del Colle in una nota pubblicata, il 27 aprile 2003, nel supplemento di Famiglia cristiana dedicato al fondatore –. «L’ho verificato in più occasioni, in contatti con personalità della politica, ma anche con alte autorità ecclesiastiche: dovendo, ad esempio, sostenere in una disputa che al giornalista responsabile di un periodico, e solo a lui, compete stabilire la ‘opportunità’ della pubblicazione di una notizia, una volta accertata la sua veridicità e fatto salvo il rispetto dei dogmi di fede, senza piegarsi a censure preventive; e un’altra volta constatare, in un dialogo fraterno con un porporato illustre, come sia inopportuno chiedere consensi preventivi all’autorità, quando è lecita una scelta di coscienza libera e consapevole».
Nato il 31 ottobre 1931, Beppe del Colle è stato uno dei grandi protagonisti del giornalismo italiano, autorevole e fine analista della vita nazionale. «I suoi scritti – ha affermato Pier Giuseppe Accornero – permettono di leggere e comprendere società e politica italiana, in rapida evoluzione, sempre attento a collegare le situazioni sociopolitiche e gli eventi nazionali e internazionali ai valori del cristianesimo e della democrazia, nella quale gioca un ruolo essenziale la Democrazia cristiana».
Si forma alla grande scuola del giornalismo d’ispirazione cristiana torinese degli anni del Dopoguerra. La sua esperienza è legata al settimanale Il nostro tempo, diretto da mons. Carlo Chiavazza, una testata moderna che annovera le migliori firme del cattolicesimo democratico e liberale subalpino. Professionista nel 1956, all’inizio è cronista sportivo al Popolo nuovo, quotidiano della Dc piemontese. Passa poi, nel 1961, alla Gazzetta del popolo e, dopo, a Stampa sera e alla Stampa.
Quando don Giuseppe Zilli lo chiama a Famiglia cristiana, è un professionista maturo e completo. Qui occupa prima il ruolo di caporedattore e poi quello di vicedirettore, contribuendo a trasformare il giornale in un settimanale moderno, con inchieste, reportage e rubriche firmate da collaboratori importanti. Tra il 1982 e il 2002 collabora anche con Avvenire. Nel 1990 diventa direttore del settimanale Il nostro tempo restandovi fino alla sua chiusura con la fusione con La voce del popolo.
Grande conoscitore della politica, ne coglieva i travagli e le prospettive con sorprendente velocità. «Finché bastavano parole, immagini e impegni Renzi è risultato imbattibile. Ora cominciano i fatti». Questo scriveva, in un editoriale di Famiglia cristiana del 15 dicembre 2013, di Matteo Renzi, vincitore delle primarie del Pd con il 68 per cento, all’inizio, cioè, della sua ascesa politica. Un dubbio, un giudizio sospeso? Probabilmente l’intuizione che potesse rivelarsi un fuoco di paglia.
Tra i suoi libri importanti Olga e Gorbaciov. 100 anni di Cristianesimo in Russia, Premio Anghiari Storia, e Cattolici dal potere al silenzio. Come hanno fatto l’Italia e non vorrebbero disfarla. Quest’ultima, scritta con Pasquale Pellegrini, è considerata da molti il suo testamento politico.
Beppe del Colle considerava il cattolicesimo democratico la migliore interpretazione dello spirito evangelico in politica, «una dimensione civile e sociale – scriveva nella premessa al volume – che potrebbe innervare ancora il futuro del Paese».
Il premio Capri-San Michele, conferito al libro nel 2011, motivava il riconoscimento: «è un’opera destinata ad accompagnare la mobilitazione in corso tra le nuove generazioni del mondo cattolico per rileggere criticamente il contesto politico della società italiana e riconquistare responsabilità di orientamento e di valori nella nostra vita etica di nazione cristiana».
È probabilmente il miglior complimento che Beppe del Colle potesse avere nella sua lunga carriera, segno che del Vangelo è stato un autentico testimone. Lo ha servito con l’informazione.