Beni culturali, dal Codice da Vinci al codice a barre
Leonardo da Vinci è stato un geniale veggente nel campo dei codici, ma neanche lui forse avrebbe mai previsto che il patrimonio culturale italiano e l’emblema planetario dell’Uomo vitruviano, sarebbero divenuti, a 500 anni di distanza, oggetto di diatribe e contese giudiziarie a livello nazionale e internazionale.
Il codice dei beni
All’approssimarsi del ventesimo anniversario del Codice dei beni culturali e del paesaggio, emanato nel 2004 dal presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi, l’attuale ministero della Cultura (Mic), ha firmato nel 2023, un decreto in cui si stabilisce che per usare immagini, foto e video di beni culturali come ad esempio sculture, dipinti o altre opere museali, da ora in poi si dovrà pagare una tariffa, una specie di codice a barre, previsto da un listino prezzi ministeriale.
Cultura insorgente
Il tariffario, però, sebbene dettato dalle comprensibili esigenze ministeriali di mettere a reddito i beni culturali, tra l’altro super tutelati dalla Costituzione, aveva provocato l’ “insurrezione” degli operatori di quella cultura accademica, scientifica e didattica di cui quei beni “tassati” fanno parte.
Parola alla Corte dei conti
Obiezioni erano arrivate anche dalla Corte dei conti che sempre nel 2023 aveva definito in «controtendenza» l’introduzione del tariffario sui beni culturali, perché incideva «su una più ampia circolazione delle conoscenze», sul «libero riuso, open access, anche commerciale, delle riproduzioni digitali» ed era «un potenziale danno alla collettività in termini di rinunce e occasioni perdute».
Il Mic rivede il prezzario
Incassate le critiche, il ministero della Cultura, lo scorso aprile 2024, ha emanato un decreto di modifica che è più attinente al principio normativo della «pubblica fruizione dei beni culturali».
La gratuità del riuso delle immagini dei beni culturali è stata così estesa alle pubblicazioni liberamente accessibili a tutti, divulgative, didattiche, scientifiche (Anvur) e dei giornali e periodici nell’esercizio del diritto-dovere di cronaca.
Tariffe, come esigerle?
Nella pratica «gli istituti che hanno in consegna i beni culturali ne autorizzano l’uso della riproduzione», previa applicazione di tariffa, solo se tale uso «è compatibile con il carattere storico-artistico dei beni stessi».
Si va dai 126 euro per tre immagini su pannelli espositivi ai 250.000 euro dovuti dalle multinazionali per un’immagine da usare nelle pubblicità globali.
Le procedure burocratiche di autorizzazione da parte di musei e soprintendenze potrebbero però risultare così dispendiose che, moltiplicate per migliaia di richieste di uso di immagini culturali, produrrebbero un calo di produttività e spese legali per contenziosi, superiori agli introiti derivanti dalle tariffe.
L’uso gratuito delle immagini dei beni culturali darebbe, insomma, un ritorno economico superiore a quello derivante dalle tariffe. «L’open access – dice la Corte dei conti – è esso stesso un potente moltiplicatore di ricchezza».
L’Uomo vitruviano finisce in tribunale
Corollario a queste vicende è la causa che nel 2020 la Galleria dell’Accademia di Venezia e l’avvocatura dello Stato per il Mic, intentarono innanzi al tribunale di Venezia, avverso la ditta Ravensburger, ottenendo giudizialmente il riconoscimento dei diritti d’immagine su tutti i puzzle raffiguranti l’Uomo vitruviano di Leonardo, bene culturale italiano per antonomasia, che l’azienda tedesca vendesse non solo in Italia ma anche nel resto del mondo e online.
Ritenendo però che «la legge italiana sul diritto d’autore e il codice dei beni culturali non producano effetti giuridici extra-nazionali», il tribunale di Stoccarda ha sancito di recente che la Ravensburger non è tenuta a pagare alcunché sulle vendite “vitruviane” fatte al di fuori dell’Italia e online.
Moltiplicazioni d’autore
Avvocatura dello Stato e Mic preparano in queste ore l’appello avverso la decisione del tribunale di Stoccarda «contestandone, secondo i principi del diritto comunitario, la competenza a sovvertire una sentenza emanata da giudici italiani».
In caso di vittoria innanzi a un tribunale comunitario, i crediti monetari d’autore che il Mic vanta nei confronti della Ravensburger ne uscirebbero moltiplicati in maniera esponenziale.
Nel frattempo a destare interesse c’è un’altra Moltiplicazione, quella dei pani e dei pesci, raffigurata nel dipinto del pittore settecentesco Gregorio Guglielmi e che è stata utilizzata come immagine della homepage sul nuovo sito web dell’avvocatura dello Stato.
L’affresco del Guglielmi sebbene sia un capolavoro d’arte barocca, non figura nell’elenco ufficiale dei beni culturali del Mic.
Ne suggeriamo l’iscrizione anche perché in ogni caso, l’uso dell’immagine che la massima avvocatura ne fa non è fini di lucro e dunque non ci sarà da pagare alcuna tariffa: contenzioso scongiurato!
La quadratura del cerchio
La querelle italo-tedesca sul diritto d’autore e le incertezze sul tariffario, sembrano al momento irrisolvibili, ma forse una soluzione l’aveva indicata 500 anni fa lo stesso Leonardo.
L’uomo vitruviano nel corso dei secoli era raffigurato inscrivendo “di forza” il suo ombelico e il centro di quadrato e cerchio nella stessa posizione, ma i risultati erano deludenti.
Leonardo, invece nell’inscrivere l’uomo perfetto nella quadratura del cerchio, fissò due centri, cioè due posizioni diverse che poi contemperò in un geniale equilibrio.
Applicando la regola vinciana al conflitto tra “copyright di Stato” e fruizione extra-nazionale, tra tariffe e open access, si ha che alla soluzione di “forza” dei ricorsi in tribunale sarebbe preferibile il comune accordo che contempera le posizioni diverse delle parti.
È forse un caso che agli albori della nuova valuta europea, nel 2002, sulla moneta italiana più emblematica, quella da un euro, venne inciso l’Uomo vitruviano di Leonardo?
Sembrerebbe di no visto che quella scelta fu proprio del presidente Carlo Azeglio Ciampi, l’uomo che di economia e beni culturali un po’ se ne intendeva!