Beni comuni e Costituzione
Una recentissima sentenza della Corte di Cassazione apre al riconoscimento dei “beni comuni” a partire dalla centralità della persona umana.
La questione dei beni comuni è sempre più al centro del dibattito internazionale in campo ambientale (si pensi al bene acqua, oggetto di prossimo referendum per l’Italia ) ed è stato cuore di una commissione, presieduta da Stefano Rodotà, di revisione sui beni pubblici istituita nel 2007 presso il ministero della Giustizia dopo anni di dibattito tra gli studiosi del diritto. Ora una sentenza della corte di Cassazione da al concetto di bene comune, cittadinanza giuridica.
La questione del bene comune è stata posta da una causa civile che ha condotto le parti davanti al giudice per dirimere un problema di proprietà. Una società privata, infatti, è arrivata fino alla Cassazione per contestare la proprietà pubblica di una valle da pesca collegata con la laguna di Venezia. Le parti contrapposte hanno effettuato una ricognizione storica giungendo a citare persino delle ordinanze dell’Impero asburgico per definire se e come la valle sia o no collegata liberamente con il mare. Questo particolare, infatti, è l’elemento determinante per far rientrare lo specchio di acqua nella protezione del Demanio marittimo.
Ma la Corte di Cassazione a sezioni unite, in una sentenza del 14 febbraio 2011, resa ora disponibile anche sul suo sito ufficiale, ha preso spunto da una vicenda che potrebbe risolversi nella definizione di sbarramenti umani o naturali per una decisione particolarmente significativa giungendo alla definizione di “bene comune” che supera la distinzione tra bene pubblico e bene privato. Gli estensori della sentenza, infatti, affermano che «oggi non è più possibile limitarsi all’esame della normativa codicistica del 1942, risultando indispensabile integrare la stessa specificamente con le norme costituzionali» che vengono individuate nell’articolo 2 (diritti della persona, intesa non solo singolarmente ma nelle formazioni sociali dove sviluppa la personalità), 9 (tutela del paesaggio) e 42 (proprietà pubblica e privata, di cui bisogna assicurare la finalità sociale).
Da tali richiami la Suprema Corte esprime «l’esigenza interpretativa di “guardare” al tema dei beni pubblici oltre una visione patrimoniale-proprietaria per approdare ad una prospettiva personale-colletivistica» a partire, cioè, dal « dato essenziale della centralità della persona da rendere effettiva, oltre che con il riconoscimento di diritti inviolabili anche mediante l’adempimento di doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale»
Da tali premesse arriva la conclusione che laddove «un bene immobile, indipendentemente dalla titolarità, risulti per le sue intrinseche connotazioni, in particolar modo quelle di tipo ambientale e paesaggistico, destinato alla realizzazione dello Stato sociale, come sopra delineato, detto bene è da ritenersi “comune” vale a dire, prescindendo dal titolo di proprietà, strumentalmente collegato agli interessi di tutti i cittadini».
Il linguaggio usato dai giudici non appare troppo tecnico da non far comprendere la novità di un precedente che potrà essere utilizzato in tante situazioni dove, come nelle valli della pesca della laguna veneta, «i principi combinati dello sviluppo della persona, della tutela del paesaggio e della funzione sociale della proprietà trovano specifica attuazione dando origine d una concezione di bene pubblico inteso in senso non solo di diritto reale spettante allo Stato ma quale strumento finalizzato alla realizzazione di valori costituzionali».