Benedito Libano de Souza: “Ci ha mostrato che il Vangelo è possibile”
“Dio ha scelto quello che è stolto per il mondo per confondere i sapienti” (1 Cor 1,27): può essere la sintesi della vita di Benedito Libano, missionario brasiliano del Pime, semplice e trasparente. Attorno a lui sono fiorite comunità, vocazioni, opere.
Quando scriveva o leggeva sembrava un bambino di quarta elementare: il suo portoghese era disseminato di incertezze ed errori. Veniva dalla campagna e i suoi studi erano stati incompleti. Fra i fratelli era sempre il primo nei lavori di campagna, ma nell’interno dello Stato del Paranà, al sud del Brasile, il livello della scuola era basso e lui non aveva molto tempo per studiare.
Benedito Libano de Souza era nato a Ouro Fino, nello Stato di Minas Gerais, da una famiglia numerosa (la madre ha avuto 13 figli, ne sono sopravvissuti solo 9): quando lui era piccolo emigrarono vicino a Campinas e poi nel Paraná.
Vocazione folgorante
Troviamo dettagli significativi della sua vita in una testimonianza che ha lasciato lui stesso: “Da giovane ho sempre cercato di andare in chiesa, anche se abitavo lontano. Appartenevo alla Congregazione Mariana. Tutti i miei compagni mi dicevano che dovevo farmi prete, ma rispondevo che non ne avevo la vocazione. Mi sono fidanzato con una ragazza, ma quando mancavano solo tre mesi al matrimonio, in una giornata fredda, gelata, sono andato alla Messa delle sette del mattino. Nell’omelia il sacerdote ha commentato il brano di san Paolo dove dice che è bene sposarsi, ma è meglio non sposarsi per donarsi totalmente a Dio. Quella parola è entrata fortemente in me. In quel momento ho deciso di farmi sacerdote: avevo 19 anni. Non è stato facile, perché la mia famiglia non mi ha capito. Ma sono riuscito a superare tutto e non mi sono mai pentito”.
“Sono entrato nel seminario del Pime ad Assis – continua – ma non mi trovavo bene; pensavo che in seminario dovevano stare persone con un ideale, ma non era così e sono rimasto deluso. Tre anni dopo, un padre, il vicerettore del seminario, ha cominciato a parlarci di una vita nuova, dell’amore, della fraternità. Era la spiritualità dell’unità del Movimento dei Focolari. Era ciò che stavo cercando e ancora non avevo trovato; ho cercato di viverlo in seminario”.
Benedito era più grande degli altri seminaristi, così gli fu affidato l’incarico di assistente. Uno dei padri responsabili testimonia: “Lo faceva con umiltà e modestia, si metteva in mezzo ai seminaristi come un compagno qualunque. Ma quando era necessario richiamare, lo faceva con decisione. I seminaristi lo stimavano molto”.
Benedito aveva capito che quella vita che aveva scoperto non era solo per lui e s’impegnò a diffonderla, soprattutto fra i seminaristi del Brasile: cominciò con un piccolo gruppo di sei compagni nel 1967 e in poco tempo diventarono più di cento, dal sud al nord del paese.
Coraggio
In quel periodo stava già frequentando la teologia a São Paulo. In Brasile era l’epoca della dittatura. Uno dei professori, che era anche il direttore dell’Istituto di teologia, durante le lezioni parlava di rivoluzione, di guerriglia. Benedito non era d’accordo con lui e lo manifestava apertamente: “Un giorno gli dissi che stava mettendo sciocchezze nella testa dei seminaristi – ricorda lui stesso – e di fatto molti se ne andavano. Quando Paolo VI pubblicò la Humanae vitae, quel professore diede un’intervista alla televisione, dicendo che non spettava al Papa dare orientamenti agli sposati. I nostri superiori del Pime dissero a noi studenti che dovevamo restare sempre fedeli al Papa, ma i miei compagni si misero dalla parte del professore. In una riunione degli studenti della facoltà rimasi solo contro tutti, sostenendo chiaramente che stavo con il Papa. I miei superiori non condannarono i miei compagni e dimostrarono un grande amore per loro. Però, a poco a poco essi lasciarono spontaneamente il seminario. Sono rimasto solo io di quel gruppo, grazie al Movimento dei Focolari”.
“Nell’ultimo giorno di scuola di quell’anno, il direttore riunì la nostra classe per fare una valutazione, chiedendo anche il nostro parere – continua Benedito -. Mi alzai e gli dissi che non ero stato d’accordo soprattutto con la sua visione di Dio, un Dio di insicurezza, di crisi, problematico, perché non era il vero Dio. Lui mi domandò qual era la mia visione e io parlai di Dio amore e raccontai l’esperienza di Gesù Abbandonato che stavo vivendo. Quando mi fermai, il professore mi chiese di continuare e allora raccontati altre esperienze. Quando conclusi, disse: ‘Durante l’anno voi pensavate che Benedito era l’ultimo della classe, perché non era d’accordo con voi. Ma lui nella nostra classe è stato come un sacramento della presenza di Cristo’. Si fermò un momento e poi cominciò a raccontare tutta la sua vita, concludendo che non avrebbe più continuato a insegnare nell’Istituto”.
Benedito fu ordinato sacerdote nel 1969 e subito destinato a Manaus. Lì cominciò la sua avventura missionaria (rimase quasi 20 anni), che ha continuato poi in altri luoghi distanti del Brasile. In poche pagine non è possibile presentare tutto questo cammino; ho scelto di dipingere il suo ritratto in alcune pennellate, servendomi delle testimonianze di coloro che l’hanno conosciuto, che ho raccolto recentemente percorrendo tutti i luoghi dove ha lavorato.
La volontà di Dio
“Non quello che voglio io, ma quello che Tu vuoi, o Padre” (Mt 26, 39): l’affidamento di Gesù al Padre nell’Orto degli Ulivi è stato il programma di vita di Benedito. Ripeteva con grande frequenza questa frase, soprattutto nei momenti di difficoltà o quando i superiori gli chiedevano di lasciare un campo di attività per passare a un altro. “Sto saldo nell’impegno che ho preso con Dio di fare solo la volontà di Dio”, ha scritto in una comunione di vita mandata ai religiosi del Movimento.
E nel momento forse più duro della sua vita, quando fu rimosso senza spiegazioni dall’incarico di economo regionale di São Paulo, commentò: “Ho visto che facendo la volontà di Dio resto più libero e non mi ribello… Una cosa che ha impressionato i miei parenti e amici è stata la mia serenità, calma, gioia di essere sempre felice, cioè di cercare di fare la volontà di Dio nel momento presente. Ho cercato di controllarmi per non giudicare mai i miei superiori, anzi, sto cercando di pregare sempre per loro”.
Quando il Pime consegnò al vescovo di Uberaba la parrocchia di Frutal, dove Benedito aveva lavorato per cinque anni, “il superiore regionale mi presentò quattro progetti – ricorda nella testimonianza citata sopra – e mi chiese di sceglierne uno. Gli dissi che non ne avrei scelto nessuno, perché per me l’importante è fare la volontà di Dio”.
Alcuni anni dopo fece un’esperienza fondamentale. “Dio mi ha mandato una grande prova – riferisce in quella testimonianza -. Accadde durante una notte: sentivo che stavo morendo e quello che mi veniva in mente era solo la volontà di Dio e nient’altro. Mi sono alzato, ho fatto il testamento. Poi ho sentito che la mia vita sarebbe continuata a lungo e sarebbe stata per la gloria di Dio. Quindi ho capito che la mia vita a partire dal quel momento sarebbe stata diversa, un’altra vita, totalmente per Dio… Però dopo un anno mi sono lasciato andare un po’ e si è ripetuta la stessa esperienza di quella notte. Allora ho deciso di riprendere l’impegno fatto, non vivendo per il mondo, ma per Dio: ‘Non sono io che vivo, ma Cristo vive in me’”.
Questo programma l’ha vissuto fino alla fine. Così ha accolto un religioso, suo amico, che andò a visitarlo al momento del suo ultimo ricovero in ospedale: “Facciamo bene la volontà di Dio”. La suora infermiera, che l’ha seguito in quegli ultimi giorni, attesta che stava in atteggiamento continuo di offerta: “Il giorno prima di morire ‘ha celebrato’ in continuazione la messa, una dopo l’altra. Non aveva forze, ma le sue mani stavano sempre alzate”.
Pastore missionario
La missione ad gentes è un elemento essenziale del carisma del Pime: ogni membro promette di essere disponibile a lasciare il proprio paese, dovunque i superiori indicheranno. Benedito non è uscito dal Brasile, anche se lo desiderava, perché ha sempre accettato le decisioni dei superiori come espressione della volontà di Dio. “Non è mai uscito dal Brasile – afferma mons.Giuliano Frigeni, vescovo di Parintins in Amazzonia e successore di Benedito nella parrocchia di São José a Manaus – ma si vedeva in lui una totale dedizione missionaria”.
L’allora segretaria di Benedito in quella parrocchia riferisce che il primo giorno di lavoro le disse: “Ognuna delle persone che entrano da questa porta, non importa se sia un mendicante o uno in giacca e cravatta, ognuna di loro è Gesù e devi accoglierla in quanto tale. E tu sei Maria”.
Lui per primo si comportava così. Di conseguenza, non gli importava l’ora in cui le persone lo andavano a cercare. Continua la segretaria: “Benedito riceveva la gente più o meno fino a mezzanotte, poi recitava il rosario con il guardiano notturno e se non c’era più nessuno andava a dormire. Io abitavo di fronte a lui. Capitava che le persone bussavano alla mia porta all’una o alle due di notte. Dicevo loro che il padre stava dormendo, ma alle volte insistevano, perché era urgente. Allora dicevo loro di bussare alla casa parrocchiale e lui le riceveva. Magari avevano una lite in famiglia o avevano bisogno di aiuto economico o altre necessità”.
La sua caratteristica “strategia missionaria” era il rapporto. Seguiva le persone una ad una, dedicando molto tempo ai colloqui personali. Dice una ragazza di Jardim, l’ultima parrocchia di Benedito: “Nel rapporto che aveva con tutti noi faceva sentire ognuno di noi importante per Gesù”.
Non rimaneva nella chiesa o nella casa parrocchiale, ma cercava le persone dove stavano: in strada, in casa. Era solito farsi invitare a pranzo o a cena, creando legami di amicizia profonda. “Quando Benedito è venuto, ero da molto tempo lontana dalla Chiesa. Un giorno andai alla casa parrocchiale con mia sorella, mi accolse a braccia aperte, parlò con molto affetto e amore e mi fece tornare agli incontri della Pastorale della Gioventù. Fra noi due si creò una grande amicizia, parlavamo molto. Se io non mi facevo vedere, veniva a cercarmi a casa, per sapere quale problema avessi e lo condivideva con me. Non appariva come un sacerdote, ma come un amico” (ragazza di Jardim). È una descrizione tipo, che si ripete molte volte, quasi con le stesse parole, nelle testimonianze che ho raccolto.
Naturalmente non dimenticava l’organizzazione della comunità, le attività pastorali, i gruppi, i movimenti, che incoraggiava e seguiva personalmente. La sua preoccupazione principale era che all’interno dei vari gruppi e fra di essi ci fosse l’unità, perché si realizzasse la parola di Gesù: “Dove due o tre saranno uniti nel mio nome, lì io sono in mezzo a loro” (Mt 18, 20). Parola nella quale credeva pienamente e che sentiva come l’aria che respirando gli permetteva di vivere: “Quello che mi aiuta molto è la presenza di C.; abbiamo sempre la presenza di Gesù fra noi”, confessava con gioia in una delle comunioni ai religiosi.
Quella strategia dava i suoi frutti. Una persona di Ibiporã, nel Paraná, ha sintetizzato in un’immagine suggestiva: “Quando ricordo Benedito, immagino un popolo che va dietro a lui e vuole seguire la luce che lui segue, perché ha la certezza di quel Padre che ci ama”. In Jardim hanno testimoniato: “Nel solo anno e mezzo che ha passato con noi ha messo in animazione tutte le varie espressioni della pastorale, ha fatto una rivoluzione nella parrocchia”. Un dato significativo: prima del suo arrivo nella catechesi partecipavano 160-170 bambini e ragazzi, in un anno e mezzo sono arrivati a 410. Lo stesso avveniva nelle altre parrocchie dove ha lavorato.
Educatore
In questo modo educava le persone e la comunità. Non con metodi pedagogici che non conosceva, ma con la Parola di Dio, il Vangelo testimoniato e insegnato. Il suo parlare era semplice, diretto: “Quando ero triste, mi diceva: ‘non essere triste – ricorda una signora di Manaus –, ti insegno una frase di san Paolo: tutto posso in colui che mi dà forza’”.
E una giovane di Jardim: “Diceva: ‘Figlia, tu devi vedere Gesù nell’altro, devi amare per prima, tu sei cristiana, sei Gesù’. Questo entrava dentro di me e mi sono abituata a vivere così”. Di fronte alle difficoltà economiche dell’asilo che aveva fondato a Manaus, alle collaboratrici preoccupate diceva: “Non preoccuparti, domani il Signore provvederà”, e cercava sempre una frase del Vangelo, come gli uccelli del cielo e i gigli del campo, “e con questo ci andava educando – commenta la direttrice dell’asilo -. Così ci ha insegnato ad avere sempre speranza”. Era un’evangelizzazione dentro la vita, a partire dalla vita: “Ci ha mostrato che il Vangelo è possibile; con un po’ di sforzo e di pazienza ce la facciamo” (ragazza di Jardim).
Aveva una visione che andava al di là della persona e raggiungeva la comunità. “Ha fatto della parrocchia una grande famiglia”, attesta mons. Frigeni. Molte volte, incontrando qualcuno della comunità, domandava: “Hai mangiato oggi?”, e, di fronte alla risposta molte volte negativa, invitava la persona in casa a mangiare qualcosa insieme. Non dava soldi per comprare da mangiare, introduceva la persona (o le persone) in casa. Per fare famiglia.
Lavorava molto, senza misurare le forze e il tempo, però ogni tanto andava a riposare, ma non solo. A Manaus portava con sé il gruppo dei collaboratori più vicini e passava con loro uno o due giorni in una casa di campagna presso un fiume: erano giorni di convivenza, di preghiera e di ricreazione. Il suo riposo era stare con le persone.
Era convinto di aver ricevuto un grande dono attraverso la conoscenza del Movimento dei Focolari e voleva trasmetterlo ad altri. Invitava le persone agli incontri del Movimento e dopo cercava di accompagnarle, perché continuassero ad approfondire e mettere in pratica quello che avevano ricevuto. Metteva questo gruppo al servizio di tutta la parrocchia, evitando che si chiudesse, come il lievito nella pasta. Raccogliendo le interviste, viaggiando per il Brasile sulle orme di Benedito, ho incontrato molte persone che dicevano di non appartenere al Movimento dei Focolari, ma che ne avevano assimilato lo spirito e cercavano di viverlo.
Ho incontrato anche chi mi ha detto che Benedito l’aveva aiutato ad acquisire la sua dignità di persona: “Non sapevo leggere bene e mi consideravo una persona inferiore agli altri, ma lui mi ha fatto capire che anch’io sono figlio di Dio, che devo mettermi nel posto dove Dio mi ha collocato. Sono meccanico, quindi devo essere un meccanico; l’importante è che devo cercare Dio nella mia vita” (Manaus).
“Avevo vergogna della mia pelle nera e ho sofferto molto nella chiesa, perché pensavo di non essere buona a nulla. Benedito invitava me e mio marito a prendere il caffè nella casa parrocchiale e ci portava alle feste della regione. Così, con la sua semplicità mi ha fatto capire che sono uguale a tutti gli altri e adesso sono ministra dell’Eucaristia” (Frutal).
Frutto significativo di questo lavoro educativo sono state le vocazioni, sia nel senso generale di servizio alla comunità, come nel caso specifico delle vocazioni alla vita consacrata. Benedito diceva di aver indirizzato più di 20 giovani alle missioni, al sacerdozio, alla vita religiosa e al Focolare. Chi l’ha conosciuto attesta che aveva il fiuto per le vocazioni.
Carità e Provvidenza
“Non si preoccupava solo dell’aspetto spirituale, ma anche del nostro benessere materiale. Io avevo quattro bambini, attraversavo una grande difficoltà finanziaria, abitavo in una casa cadente. Lui ha rifatto la casa” (donna di Frutal). Benedito era l’amore concretizzato, fin nei minimi particolari. La stessa persona continua: “Dicevo sempre che desideravo conoscere il mare e lui quando andava in vacanza con altre coppie portava anche me”.
Sono molte le persone e le famiglie che mi hanno confidato di essere state aiutate da lui in momenti difficili: “Lui amava senza considerare se la persona faceva il bene o il male, amava sempre” (signora di Manaus). Una parola che ricorre nelle testimonianze è “padre”: “Benedito è stato praticamente mio padre, quello che non ho conosciuto” (uomo di Frutal); “Ci trattava realmente con amore paterno” (signora di Manus); “Mi sono affezionata molto a lui, perché mi ricordava mio padre, già morto” (religiosa infermiera).
Spesso l’aiuto che dava usciva dalle sue tasche, fino al punto di dare il suo salario di quel mese. E soprattutto aveva una fiducia totale nella Provvidenza, nella quale educava anche le persone: “Dove la nostra mano non arriva, arriva la mano di Dio”, ripeteva. “Abbi fiducia, figlia, figlio, abbi fiducia!”; “Non preoccuparti, Dio provvederà”. “Era la Provvidenza personificata”, dice di lui la direttrice dell’asilo di Manaus. Faceva tutta la sua parte, cercando aiuto nei negozi, nelle case dei ricchi, organizzando tombole e altre attività, ma alla base di tutto metteva la Provvidenza.
La costruzione della chiesa nuova di Manaus è stata un dono della Provvidenza. Un esempio: “Una sera ero seduto alla porta della chiesa vecchia con la guardia notturna – racconta un signore -. Arriva Benedito, si siede sul marciapiede e dice: ‘Gente, recitiamo un rosario, perché ho bisogno di una grazia molto grande: domani devo pagare gli operai e non ho un centesimo’. Cominciamo a pregare. Al terzo mistero si ferma davanti a noi un’auto nera, l’autista abbassa il vetro e chiama dentro il padre. Rimangono a parlare 15-20 minuti. Poi Benedito torna con un assegno e dice: ‘Non abbiamo nemmeno terminato il rosario ed è arrivata la Provvidenza’. Quel signore era il padrone della Tv di Manaus ed era suo amico. L’assegno valeva il pagamento di tre settimane degli operai. Abbiamo terminato il rosario come ringraziamento”.
Benedito era brasiliano e viveva con gli altri padri del Pime, italiani, che ricevevano aiuti dall’estero. Lui invece raccoglieva tutto dalla gente, che riusciva a coinvolgere nelle attività pastorali e nelle costruzioni.
La ragione del mio vivere
Concludo questo breve e incompleto ritratto di Benedito con una sua comunione di vita, nella quale riassume la sua personalità: “La parrocchia sta diventando un corpo che agisce in unità. Alle volte, lavoro fino a 16 ore al giorno, vedendo sempre Gesù nelle persone che arrivano e mi cercano. Vado a dormire stanco, ma molto felice. C’è una cosa che attraversa tutto questo: è Gesù Abbandonato e Maria Desolata, che sono la ragione del mio vivere” (settembre 2008).