Benedetto XVI pellegrino del dialogo con le religioni
L’ambito dei rapporti con fedeli di altre religioni, probabilmente, rappresenta uno dei terreni più controversi sia di Benedetto XVI, papa, come di Joseph Ratzinger, teologo. Entrambi, infatti, sono legati a stereotipi di chiusura al dialogo con altre fedi e all’idea di una identità cristiana rigida ed esclusiva. Pochi sanno e potrebbero credere che, all’inizio degli anni Settanta del secolo scorso, l’ancor giovane teologo tedesco aveva preso posizioni d’avanguardia in merito alla questione del rapporto fra cristianesimo ed altre fedi. Prevedeva, infatti, che nel dialogo con le altre tradizioni religiose era in gioco il senso vero della possibilità della nostra fede. Da poco si era concluso il Concilio Vaticano II, che, con Nostra Aetate, aveva rappresentato una svolta di apertura della Chiesa verso fedeli di altre religioni. Si era intrapresa una strada senza ritorno. E Ratzinger aveva colto, contribuito e confermato che lì si sarebbe giocato il futuro del cristianesimo, fino a pochi decenni prima ancora arroccato sulla convinzione che ‘fuori della Chiesa non c’è salvezza’.
Eppure nell’immaginario comune, spesso, questo papa, come teologo, è stato associato – e forse ancora lo rimane – ad una tradizione chiusa e per niente innovativa, pronto alla condanna di teologi progressisti e a tentativi di inculturazione azzardati. Lo si immagina impegnato a scoraggiare Giovanni Paolo II dall’idea di convocare leaders di diverse tradizioni religiose per una Giornata di Preghiera per la pace ad Assisi nel 1986. Come papa il suo rapporto con l’Islam apparve problematico, quasi da subito, a causa del famoso incidente del 2005 a Ratisbona quando, una sua citazione estrapolata dal contesto del suo discorso più accademico che pastorale, causò reazioni anche violente da parte di musulmani in diverse parti del mondo. Anche la decisione, temporanea, di porre l’allora Pontificio Consiglio per il Dialogo Interreligioso sotto la presidenza del Card. Poupard, da tempo a capo dell’organo vaticano preposto alla cultura, non incontrò i favori di coloro che erano impegnati nel dialogo interreligioso.
Nonostante tutto questo, che pur rimane vero ed incontestabile, Benedetto XVI, con tutta probabilità, emergerà nel corso degli anni come una figura importante, se non decisiva, nel complesso ‘pellegrinaggio del dialogo’. Fedele alla sua già citata intuizione degli anni Settanta riguardo alla centralità del rapporto fra cristianesimo ed altre culture e religioni, ha da subito intuito l’importanza decisiva di due aspetti: l’identità e il rapporto fra fede e ragione. E a questi è rimasto sempre fedele – nella ricerca teologica e nella testimonianza personale – anche a rischio – nel complesso giudizio della storia – di rimanere schiacciato fra il genio innovatore di Giovanni Paolo II, capace di aprire la Chiesa cattolica a tutto campo, e l’immensa popolarità – soprattutto a livello di fedeli – di papa Francesco, che parla una lingua che tutti comprendono e compie gesti che scaldano il cuore della gente. Il teologo tedesco diventato papa, da sempre ‘umile servitore della vigna del Signore’ come ebbe a dire presentandosi alla folla dopo l’elezione, ha saputo coniugare intelligenza e umiltà, oltre alla onestà intellettuale mostrata fin dai tempi dei suoi studi e della sua abilitazione. Con rigore di pensiero non ha mai fatto sconti alla ricerca sincera della Verità, rimanendo aperto agli sviluppi della storia, pronto ad accettarli. Dopo l’incidente di Ratisbona, ha accolto con apertura ed ascolto una importante lettera di 138 saggi musulmani rivolta a lui e a leaders cristiani. Ed ha voluto subito dimostrare la sua apertura al mondo dell’Islam con la visita in Turchia durante la quale è entrato nella Moschea Blu, rimanendo in atteggiamento di raccoglimento. Ha accettato di celebrare – dopo una opportuna riflessione – i venticinque anni della Giornata di Preghiera per la Pace ad Assisi e lo ha fatto facendone un pellegrinaggio, comune di credenti e non credenti, verso la Verità. Il titolo di quel giorno, infatti, recitava: Pellegrini della Verità, pellegrini della Pace. Vi erano stati invitati anche uomini e donne senza un riferimento religioso, ma alla ricerca della stessa unica Verità, che è e resta fondamento della Pace vera. Ancora di più, colse proprio quell’occasione per una confessione ed un atto di richiesta di perdono perché, sostenne, «nella storia anche in nome della fede cristiana si è fatto ricorso alla violenza. Lo riconosciamo, pieni di vergogna.». Con umiltà e genuino spirito di Verità seppe mettersi allo stesso livello di tutti i presenti in un momento dove violenza in nome di Dio era da molti considerata sinonimo di Islam.
Ma è nelle ultime settimane come titolare della Cattedra petrina che emerge la sintesi ed il suo impegno al dialogo, come cammino comune con fratelli e sorelle di diverse fedi e anche senza riferimento religioso. Pochi giorni prima di Natale 2012, nei tradizionali auguri alla Curia Romana, volle sottolineare come «nella situazione attuale dell’umanità, il dialogo delle religioni [sia] una condizione necessaria per la pace nel mondo, e pertanto è un dovere per i cristiani come pure per le altre comunità religiose». Inoltre sottolineò come un tale dialogo «non ha di mira la conversione, bensì la comprensione … [ e dunque] ambedue le parti restano consapevolmente nella loro identità, che, nel dialogo, non mettono in questione né per sé né per gli altri». Infine, pochi giorni prima di lasciare il Vaticano, incontrando i parroci di Roma, volle spendere ancora una parola – fondamentale – sulla Verità. Chiarì che nessuno può affermare di possedere la Verità perché è la Verità a possederci, in quanto la Verità è Cristo. E’ una affermazione spesso ripetuta da papa Francesco, ma nata dal pensiero chiaro e limpido e dalla ricerca appassionata di un teologo diventato papa, senza mai interrompere il suo pellegrinaggio proprio verso la Verità verso la quale ha voluto camminare con uomini e donne di diverse fedi e culture.
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