Benedetto XVI, papa emerito: mitezza e coraggio
Quando lasciai l’incarico di segretario di Stato, papa Francesco mi disse che avrei dovuto trasmettere la mia esperienza di testimone degli ultimi papi che sono entrati, più o meno nella mia vita: Pio XII, Giovanni XXIII, Paolo VI, Giovanni Paolo I, Giovanni Paolo II, Benedetto XVI e, infine, papa Francesco. Per iniziare ne è scaturito un libro intitolato “I miei Papi” che raccoglie ricordi personali, ma anche accenni delle grandi sfide che questi protagonisti massimi della Chiesa hanno affrontato. È vero, però, che quello al quale sono stato più vicino e amico è Benedetto XVI, papa emerito dal 28 febbraio 2013 dopo la storica e imprevedibile rinuncia al pontificato. Ora che ha raggiunto il termine della sua vita terrena emergono in tutta evidenza le straordinarie qualità di questo uomo, difficili da enumerare per intero perché vanno dal più ordinario vivere quotidiano allo straordinario impegno culturale e spirituale fino a portarlo al soglio pontificio.
Mentre una miriade di articoli di tutti i tipi e tendenze si scrivono su di lui, io vorrei prendere spunto da quanto ha detto papa Francesco durante il Te deum della fine dell’anno 2022, proprio nel giorno della dipartita del grande papa emerito Benedetto XVI: «Con commozione ricordiamo la sua persona così nobile, così gentile. E sentiamo nel cuore tanta gratitudine: gratitudine a Dio per averlo donato alla Chiesa e al mondo; gratitudine a lui, per tutto il bene che ha compiuto, e soprattutto per la sua testimonianza di fede e di preghiera, specialmente in questi ultimi anni di vita ritirata. Solo Dio conosce il valore e la forza della sua intercessione, dei suoi sacrifici offerti per il bene della Chiesa».
In un capitoletto del mio libro citato, metto in luce proprio queste caratteristiche: «Nonostante la fragilità della persona e dell’età, il Signore ha dotato papa Benedetto XVI di una “robustezza” davvero eccezionale, nel senso intellettuale e spirituale: non solo per la vasta e profonda cultura teologica, che tutti gli riconoscono ma anche per quella sua squisita gentilezza che non ha nulla di formale, ma esprime una straordinaria attenzione alle singole persone. È impressionante come con ciascuno di coloro che ha incontrato nel suo ultimo ritiro al Monastero Mater Ecclesiae in Vaticano, papa Benedetto XVI sia riuscito a scambiare parole non di circostanza, ma personalizzate, con quel senso dell’amicizia che egli considera sinceramente sacra. L’amicizia con Dio, prima di tutto, e poi anche l’amicizia umana e fraterna, imparata alla scuola di Sant’Agostino, per il quale l’amicizia va cementata “con la carità dello Spirito Santo, infuso nei nostri cuori” (Confess. 4, 4,7)».
Ascolto, consiglio e amicizia, sono i tre vocaboli che metto in rilievo nel mio libro, e che qui sintetizzo. Il pontificato di Benedetto XVI meriterebbe una dettagliata e approfondita descrizione che abbracci non solo gli anni in cui ha governato la Chiesa sul soglio di Pietro, ma quelli della preparazione remota che lo ha portato alla piena maturità intellettuale e pastorale. Ad esempio una iniziativa da lui avviata alla Congregazione per la Dottrina della Fede permise di raccogliere le informazioni sulle correnti teologiche e problematiche emergenti a raggio universale: si è trattato di predisporre ogni anno una rassegna delle principali riviste del mondo che venivano selezionate, studiate e commentate anche in vista di ulteriori approfondimenti da proporre alla Commissione Teologica Internazionale, alla Pontificia Commissione Biblica o a singoli Centri Universitari, per orientare le risposte della Chiesa e del Magistero pontificio su determinate questioni dottrinali con risvolto pastorale.
Una delle peculiarità del suo governo all’interno della Curia romana, che può considerarsi una specie di “riforma” silenziosa, non appariscente esternamente, ma estremamente efficace, fu quella di orientare i vari Dicasteri ad essere al servizio dei vescovi delle diverse diocesi, e che lavorassero con maggiore coordinamento reciproco. Cosa che prima non era così evidente.
Durante le visite ad limina dei vescovi delle varie diocesi, iniziò a riceverli ed ascoltarli uno per uno. In realtà, attraverso la conoscenza delle situazioni concrete di ogni diocesi del mondo, riusciva ad arrivare al nocciolo dei problemi e a dare consigli appropriati ad ogni vescovo. Aveva il dono del consiglio.
E anche il dono dell’amicizia con persone di ogni categoria, dalle più umili alle più in vista nella società, fino a coltivare privatamente relazioni di amicizia con personalità ortodosse, ebraiche, musulmane, ecc.
Fin dal tempo in cui Joseph Ratzinger era prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede, aveva grande stima per le figure carismatiche che illuminavano la Chiesa del tempo: si è incontrato con Madre Teresa di Calcutta e, data la conoscenza di Comunione e Liberazione, ha celebrato le esequie del fondatore, don Luigi Giussani. Ha seguito lo studio degli statuti del Cammino Neocatecumenale e dato preziosi consigli anche a Chiara Lubich per gli statuti del Movimento dei Focolari. In questo processo affidò anche a me l’incarico di seguirne l’iter e questo mi facilitò il contatto con la fondatrice. Durante l’ultima malattia di Chiara Lubich si interessò assiduamente di lei e alla sua dipartita mi incaricò di presiedere le esequie nella Basilica papale di San Paolo fuori le mura “per la sua vocazione ecumenica”, il 18 marzo 2008, portando un suo messaggio: «Tanti sono i motivi per rendere grazie al Signore del dono fatto alla Chiesa in questa donna di intrepida fede, mite messaggera di speranza e di pace, fondatrice di una vasta famiglia spirituale che abbraccia campi molteplici di evangelizzazione. Vorrei soprattutto ringraziare Iddio per il servizio che Chiara ha reso alla Chiesa: un servizio silenzioso e incisivo, in sintonia sempre con il magistero della Chiesa: “I Papi – diceva – ci hanno sempre compreso”. Questo perché Chiara e l’Opera di Maria hanno cercato di rispondere sempre con docile fedeltà ad ogni loro appello e desiderio […]. Anzi, guardando le iniziative che ha suscitato, si potrebbe addirittura affermare che aveva quasi la profetica capacità di intuirlo e di attuarlo in anticipo».
Durante il convegno del 1998 intitolato “I Movimenti ecclesiali, speranza per la Chiesa e per gli uomini”, ha pronunciato un memorabile discorso attribuendo allo Spirito Santo la nascita di essi nella Chiesa: «Ecco che lo Spirito Santo, per così dire, aveva chiesto di nuovo la parola. E in giovani uomini e in giovani donne risboccia la fede, senza “se” né “ma”, senza sotterfugi e scappatoie, vissuta nella sua integralità come dono, come un regalo prezioso che fa vivere».
Visto che il carisma specifico del Movimento dei Focolari pone l’accento sui dialoghi: ecumenico, interreligioso e anche culturale con persone non credenti, ecc., non è superfluo ricordare le difficoltà e le sfide che questi dialoghi comportano e che essi portano avanti con lo stile del “rispettoso annuncio”. Anche papa Benedetto XVI si è trovato di fronte a una situazione problematica creatasi nel settembre del 2006 con il discorso da lui pronunciato a Ratisbona. Si ricorderà che avendo citato un antico brano su Maometto, senza farlo proprio, aveva sollevato vibratissime proteste del mondo islamico. Papa Benedetto XVI restò molto stupito e addolorato delle reazioni violente che ne sono scaturite, poiché le sue reali intenzioni erano molto lontane dal voler criticare o offendere la religione islamica. Recuperò ben presto la fiducia recandosi in Turchia – quando molti nella Chiesa lo sconsigliavano – instaurando un proficuo dialogo con i musulmani. Si ricordi la lettera al papa firmata da 138 esponenti musulmani, che esprimevano apprezzamento: «Insieme musulmani e cristiani formano ben oltre metà della popolazione mondiale. Senza pace e giustizia tra queste due comunità religiose, non può esserci una pace significativa nel mondo. […] Così, nell’obbedienza al Sacro Corano, come musulmani invitiamo i cristiani ad incontrarsi con noi sulla base di ciò che ci è comune, che è anche quanto vi è di essenziale nella nostra fede e pratica: i due comandamenti dell’amore». Il papa mi fece rispondere in maniera altrettanto positiva e dialogante: «Questo terreno comune ci permette di fondare il dialogo su un effettivo rispetto della dignità di ogni persona umana, sulla conoscenza obiettiva della religione dell’altro, sulla condivisione dell’esperienza religiosa e, infine, sull’impegno comune alla promozione del rispetto e dell’accettazione reciproci tra i giovani […]». Ricordo anche che al termine del suo viaggio in Libano diversi leader musulmani andarono a salutare e riverire papa Benedetto XVI.
Altri due termini caratterizzano la personalità spirituale dell’uomo e del pontefice Joseph Ratzinger: verità e amore, i due inseparabili “nomi” di Dio. Se questo connubio tra dottrina e carità pastorale è proprio di ogni ministro ordinato della Chiesa, esso brilla con maggior splendore in quegli uomini di Dio i quali, per speciale dono dello Spirito Santo giungono a operare una sintesi robusta a livello di pensiero, che si irradia di conseguenza sul piano esistenziale.
Benedetto XVI, papa emerito, uomo di Dio, fino all’ultimo ha fatto brillare sulla Chiesa e sul mondo una robusta santità di vita e di pensiero. Le sue ultime parole sono state: «Signore ti amo».
Tarcisio Card. Bertone
Segretario di Stato Emerito