Benedetto XVI e la sua eredità

La notizia è appena arrivata: papa Benedetto ha raggiunto colui che ha sempre amato. Uomo di Dio e grande teologo, ha lasciato un segno indelebile nella storia della Chiesa.
Benedetto XVI

Grandi papi hanno guidato la Chiesa cattolica in quest’ultimo periodo della sua lunga storia: grandi per statura spirituale e testimonianza di vita, per sapienza e cultura, per discernimento sociale e profezia. Nel solco del Vaticano II. Ciascuno col suo stile e la sua interpretazione della fede, del ministero petrino dell’unità e del suo ruolo nello sfidante contesto dell’oggi. Tra questi a pieno titolo Joseph Ratzinger, asceso alla cattedra di Pietro col nome di Benedetto XVI. Suo imperdibile contributo è stato richiamare con la sua autorevolezza di uomo di Dio e di grande teologo una decisiva verità: l’opera di rinnovamento messa in moto dal Vaticano II va promossa in presa diretta col nucleo vivo del Vangelo di Gesù e nell’alveo della Tradizione ecclesiale. Come ha puntualizzato nel magistrale discorso alla Curia romana del dicembre 2005 – primo anno del suo pontificato – quando dell’evento conciliare ha tracciato la risolutiva chiave d’interpretazione: “Riforma nella continuità”.

Non è un caso che il libro più noto dell’ancor giovane teologo Ratzinger, apparso in prima edizione nel 1968 e tradotto nelle principali lingue, porti il titolo di Introduzione al cristianesimo. A segnalare che la pedana di lancio per un profetico salto in avanti è la fede di sempre in Gesù. Né è senza significato che, da papa, abbia voluto riservare tre encicliche alle virtù teologali: la carità, la speranza, la fede. Sottolineando con forza il primato della prima, perché evoca il nome stesso del Dio che si rivela in Gesù. Quel Gesù cui ha dedicato un’appassionata trilogia come invito all’incontro con il principio vivo della fede, che non è appunto una bella idea ma Lui stesso. Fedeltà, dunque, al patrimonio della fede. Ma perché da essa si sprigionino la ricchezza e la novità del Vangelo. Questo il segreto della forza e del fascino del magistero di Benedetto XVI. Che non ha esitato a perseguire l’avvio di un’operazione di pulizia e trasparenza in grande stile e senza sconti per contrastare le deviazioni che infettano il corpo della Chiesa.

Due fatti attestano forse più di altri la lungimiranza di papa Ratzinger nel cogliere il germogliare del “nuovo” dal ceppo robusto di quell’“antico” che non è mai vecchio. Il primo è documentato dallo storico intervento svolto ancora da Cardinale, nel 1998, al Simposio sui movimenti e le nuove comunità ecclesiali in preparazione del Giubileo del 2000: quando ne ha tratteggiato il ruolo alla luce dell’ininterrotta irruzione dello Spirito Santo, coi suoi carismi, lungo la storia della Chiesa. Il secondo l’ha consegnato nell’enciclica sociale Caritas in veritate: un testo di sapore profetico per immaginare quell’allargamento della ragione capace d’implementare le strutture portanti – a livello culturale, politico, economico – di una città planetaria della giustizia, della pace, della fraternità  .

Ma paradossalmente la testimonianza più incisiva del suo stile evangelico Benedetto XVI l’ha data il giorno delle sue inaspettate dimissioni. Un gesto estremo, ponderato e sereno, maturato nel desiderio di obbedire a Dio soltanto per servire la Chiesa. Un gesto che resta un sigillo sul suo ministero. E che ha già fatto storia. Ne è sgorgata «una nuova freschezza in seno alla Chiesa, una nuova allegria, un nuovo carisma che si rivolge agli uomini»: così egli stesso ha letto con gli occhi della fede lo slancio sprigionato dal ministero di Papa Francesco. Accompagnandolo con la preghiera e l’offerta della propria vita sino alla fine.

 

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