Benedetti fumetti!

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È una bella giornata quando in auto lascio la città per dirigermi verso sud, percorrendo la frastagliata costa jonica che da Messina porta verso Taormina. Dopo una ventina di chilometri, arrivo ad Alì Terme, piccolo centro termale e balneare. Qui è nato e vive Saro, 52 anni, sposato e con tre figli. Da sempre attento alle problematiche sociali, con un passato anche di assessore ai servizi sociali, ha conosciuto la spiritualità dell’unità fin dai tempi dell’università. Poi il matrimonio con Marika, con la quale condivide gli stessi ideali. Saro, specialista neurologo, con studi di omeopatia ed agopuntura, adesso lavora in psichiatria presso il Sert, il servizio per le tossicodipendenze delle Als. Come mai questa scelta nel ’94? Fra tutti i servizi che le Asl offrono doveva prendere proprio quello fra i più ad alto rischio e squalificanti dal punto di vista professionale? L’inizio non è stato facile – continua Saro -. I ragazzi che frequentavano l’ambulatorio mi sembravano pazienti diversi da tutti gli altri. In fondo, questi si erano scelti la causa della loro sofferenza. Inoltre, le terapie che prescrivevo non portavano in tempi brevi a risultati apprezzabili, e i ragazzi, dopo poco tempo, si ripresentavano con gli stessi problemi. Vedevo il mio lavoro senza senso e un certo scoramento cominciava ad affacciarsi. Ho cercato allora di guardare a ognuno dei malati nella sua diversità e a prendermene cura come un fratello. La guarigione non era più solo la conseguenza di una corretta alchimia farmacologica, ma diventava piuttosto il risultato di un lavoro paziente, dell’integrazione e dell’impegno convergente di più figure professionali. Era però soprattutto il frutto di un rapporto costruito e consolidato nel tempo. Chiedo a Saro qualche episodio un po’ particolare di questi anni che ha inciso nel suo animo. Lui non se lo fa dire due volte e mi racconta una storia vera e propria, che si svolge lungo l’arco di un decennio. Uno dei miei pazienti, che chiamerò Francesco – continua Saro -, era affetto da Aids. Inizialmente facevo fatica ad instaurare con lui un adeguato rapporto terapeutico, in quanto si comportava in modo arrogante, sarcastico, sempre pronto a squalificare tutto e tutti. Non rispettava le consegne terapeutiche e spesso i nostri incontri si trasformavano in scontri verbali, anche violenti. Non mi consolava sapere che anche con gli altri operatori del servizio aveva lo stesso atteggiamento, ragion per cui veniva evitato. Decisi allora di accettarlo così com’era, e rinnovai l’impegno a mantenere la relazione terapeutica pur conscio che non sarebbe stato per niente facile. Un giorno vidi Francesco seduto nella sala d’attesa del servizio intento a leggere. Mi avvicinai e mi accorsi che stava leggendo un fumetto. Aprii il discorso dicendogli che anche a me piacevano i fumet- ti, soprattutto del genere western. Lui mi guardò con una certa diffidenza. Mi spinsi oltre. Aggiunsi che mi piaceva disegnare e che apprezzavo molto lo stile dell’autore dell’albo che stava leggendo, a me noto. Francesco, in segno di sfida e forse per chiudermi la porta, mi elencò tutti gli altri personaggi creati dallo stesso autore. Li conoscevo anch’io! Ben presto ci ritrovammo a parlare di fumetti seduti l’uno accanto all’altro. La comune passione accorciava la distanza tra di noi, dandoci la possibilità di aprirci ad un rapporto nuovo, fuori dagli schemi. In seguito Francesco mi fece conoscere suo figlio avuto da una compagna, anche lei sieropositiva, dalla quale si era separato. Anche con lui feci amicizia e da allora ogni estate viene a trovarmi. Col passar degli anni la malattia di Francesco progredì. Più volte mi adoperai per farlo ricoverare in ospedale, lo accompagnavo con la mia auto quando serviva, collaboravo con gli infettivologi, gli stavo insomma vicino. Sapendolo contrario alle numerose terapie che gli venivano prescritte per contrastare l’avanzare della malattia, feci di tutto per persuaderlo a non interrompere la cura. E finalmente la malattia sembrò rallentare la sua corsa. Oggi Francesco ed io ci incontriamo con regolarità, ci cerchiamo telefonicamente. Spesso mi racconta di come si rapporta col figlio ormai ventenne; mi parla della sua difficoltà di genitore. Soprattutto mi comunica le sue paure e le tante domande senza risposte. Ed io sto ad ascoltarlo perché è questo di cui lui ha bisogno. E intanto non perdiamo occasione di parlare di fumetti, di disegnatori, di personaggi, della nostra comune passione. A questo punto butto lì a Saro: Te la sentiresti di disegnare un piccolo fumetto che riassuma la tua storia?. Ho fatto centro, l’amico mi risponde con gioia che stava proprio pensando a questo: va nel suo studio e dopo poco me lo consegna.

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