Benedetti dubbi!?
Tommaso Bertolasi ha 37 anni, è dottore in filosofia e ricercatore presso l’Istituto Universitario Sophia di Loppiano. Laura
Salerno ha 25 anni, laureata in Filologia Moderna, è autrice e content creator per l’Ufficio Comunicazione del Movimento dei Focolari e United World Project, un progetto della ONG New Humanity. “Benedetti dubbi” è un podcast di loro creazione che si addentra negli interrogativi più urgenti a cavallo tra generazione Z e millennials, cercando di trovare loro una risposta o, quantomeno, condividere riflessioni che possano farne scaturire di nuove…
Com’è nata l’idea di creare il podcast “Benedetti dubbi”?
Ci siamo conosciuti in Argentina nel 2018. Dopo alcuni anni, Tommaso mi telefona e mi chiede di fare un podcast insieme. È successo che, come filosofo e ricercatore, si è trovato spesso a parlare ai giovani e si è reso conto di quante domande complesse (e irrisolte) avessero. Le ha raccolte poi all’interno di un libro, “L’ultima ora della notte” edito Città Nuova. Essendo rivolto a noi giovani ma considerando che la nostra generazione oggi in media non legge molto, un podcast ci sembrava la cosa più giusta per non perdere la profondità di quei contenuti. La reazione finora è stata totalmente positiva.
Prendiamo una generazione cha aveva 20-30 anni, 70 anni fa. Oggi il lavoro è il coronamento di un sogno. In passato, invece, era un dovere, scelto in un gruppo relativamente piccolo di possibilità a disposizione. La logica era quella di mantenere la famiglia e sé stessi. Quanto la nostra concezione differente del lavoro fa aumentare le domande sul futuro e l’ansia di non sapere definire la propria identità, proprio di fronte a questo mare di scelte in cui i fallimenti sono considerati sconfitte?
Penso che noi giovani abbiamo grandi aspettative verso la professione e che ci sia un po’ troppa ansia a livello sociale. Avendo iniziato a lavorare mi sono resa conto che sì il lavoro è un qualcosa di molto bello, dà molte soddisfazioni, se piace ovviamente, ma non c’è quel lavoro che ti darà assolutamente soddisfazione e quel lavoro che no. In questi ultimi tre anni di vita ho capito che scrivere podcast mi piace, ma che se magari avessi fatto un’esperienza diversa mi sarei sentita comunque realizzata. Credo che la realizzazione personale vada al di là. È fatta di molte cose, il lavoro è soltanto una delle tante, soprattutto quando rispecchia i propri valori e fa sentire che si sta portando qualcosa di buono nella società.
Non bisogna aspettare che la professione ideale arrivi, ma agire. Facendo, si capisce qual è la propria direzione.
In ogni caso penso sia successo questo: i giovani di oggi sono forse più coraggiosi di quelli che li hanno preceduti perché riescono spesso a porsi delle domande scomode, sono esigenti, hanno il coraggio dell’autenticità per
cui si chiedono, per esempio, se questo è il lavoro che fa per loro, la vita che fa che desiderano o se i valori ricevuti dalla famiglia e dalla società sono quelli che anche loro condividono. Le precedenti generazioni spesso militavano in qualche gruppo: era una caratteristica del mondo giovanile dell’epoca. E se sei un soldato che lotta, anche fosse per una causa nobilissima, tendi a non far vedere la tua fragilità. C’è un’apparenza da salvare. Non lasci tutto per andare due anni in camper per l’Europa sopravvivendo con Instagram. Se qualcuno oggi dice di non aver mai bisogno di aiuto, allora forse possiamo iniziare a sospettare di lui o di lei. Credo che se oggi le nuove generazioni sono piuttosto disorientate è anche perché è in crisi un certo modo di essere adulti.
Come mai nella puntata del podcast in cui parlate delle relazioni malsane non avete nominato un tipo specifico di rapporto tossico, quello che può svilupparsi tra uomo e donna, basato sulla differenza di genere, forse il più tragico. Immagino sia stata una scelta specifica quella di rimanere sul generale, la ragione?
Non abbiamo dedicato molto spazio alla questione di genere perché rischiavamo di essere superficiali in una puntata che aveva a che fare con le relazioni in generale. La questione del genere rimane un terreno scivoloso perché il discorso sull’essere umano è molto complesso.
Sono inoltre temi che facilmente collocano in una posizione politica. Non per questo penso che non se ne possa parlare, anzi, la tua domanda può essere lo spunto interessante per il futuro di “Benedetti dubbi”, se dovesse continuare. Infatti sarebbe interessante rendere con chiarezza cosa vuol dire l’essere umano oggi, riflettendo, per esempio su quali sono i modelli di mascolinità e femminilità che abbiamo. Sono solo modelli culturali? Hanno a che fare con la nostra corporeità? Già qui si apre un mondo. Bisognerebbe studiare questi temi e coinvolgere magari un team di esperti, altrimenti si rischia di essere superficiali e, per esempio, condannare genericamente e con estrema banalità i femminicidi dicendo: “le donne devono stare attente”. In questo modo non si fa un gran servizio. Non si lavora sulla radice del problema che, credo, sia quella della differenza.
Quanto siamo capaci di sopportarla senza essere indifferenti o intolleranti? Nell’episodio 4 di “Benedetti Dubbi” abbiamo spiegato come una relazione è sana quando entrambi diventano persone migliori, più libere e non si sentono in gabbia. Adesso però bisognerebbe capire cos’è la libertà, perché altrimenti ciascuno le dà il significato che gli fa più comodo. Di queste cose parliamo a lungo nel podcast.