Ben fatto, Jean-Yves!

J-Y Calvez

La recente scomparsa di Jean-Yves Calvez, l’11 gennaio 2010, è stata un avvenimento importante. Da una parte, è una mancanza che si sente, non solo per l’amicizia, ma anche perché, a dispetto dell’età, egli era attivo e propositivo; davanti agli avvenimenti quotidiani, non si potrà più commentare: vediamo che ne pensa Calvez… La sua intelligenza, certo, ci mancherà.

Eppure, non riesco a pensare a lui in termini di “mancanza”; quando infatti qualcuno mi ha chiesto: “che vuoto lascia Calvez?”, ho pensato spontaneamente: Calvez lascia un “pieno”: un pieno di esempio, di pensiero, di metodologia.

Lascia un pieno di libertà: si pensi alla sua sottolineatura critica di ciò che manca nella dottrina sociale cristiana di oggi, fatta in occasione della sua intervista a “Nuova Umanità” [che in questo numero di “NU/News” mettiamo a disposizione integralmente]. Una  osservazione amorosa, da vero figlio della Chiesa, mai facilmente appagato, vigile sempre.

Lascia anche contenuti di analisi e di studio che ancora conservano il loro valore. E non penso solo ai testi più recenti, ma al suo libro più noto, Il pensiero di Karl Marx, che ha introdotto nuovi elementi e, vorrei dire, nuovi criteri interpretativi. Mi riferisco, in particolare, al processo di “riduzione delle alienazioni” da lui messo in evidenza come caratteristico di Marx, che ha imposto un modello ermeneutico anche al di fuori della critica cattolica [si vedano le pagine dedicate a Calvez, 139-149, in Per la critica dell’ideologia. Il pensiero di Karl Marx nella critica cattolica contemporanea, disponibile on line]. In esso, Calvez metteva in evidenza quella che potremmo considerare come una occasione perduta da Marx, che non aveva distinto tra una dialettica dell’uomo alienato, e una “dialettica” dell’antropologia sana, non alienata, dell’uomo. Questa incapacità di distinguere portava Marx, ad esempio, a considerare anche l’esigenza religiosa come una alienazione, anziché come un dinamismo essenziale ed emancipatore. 

Calvez riprenderà solo in anni recenti il tema dialettico-antropologico – che pure rimane presente, a me sembra,   quasi come il rovescio di un tappeto, in tutti i suoi lavori – in un libro “aureo”, quale si può scrivere solo nella piena maturità, Essai de dialectique (2003).

Anche per me fu importante l’incontro con la sua analisi del marxismo e sempre mi considerai come un suo studente, anche se mai ho frequentato i suoi corsi. Considerai dunque un grande onore essere chiamato a fare una conferenza insieme a lui, il 30 luglio 2008, a Buenos Aires, in occasione della presentazione del libro di Rocco Pezzimenti Política y religión [edizione italiana: Politica e religione, Città Nuova, Roma 2008]. Ho così potuto apprezzare la sua capacità di aprirsi all’amicizia, di ascoltare con quel suo atteggiamento raccolto, davanti all’altro uomo, quasi pregasse. Davvero, dava l’impressione di fare bene ogni cosa, con una perfezione dovuta tanto all’intelligenza quanto alla virtù.

Forse per questo la sua “partenza” non ci lascia un senso di vuoto, ma di un’altra opera riuscita, l’ultima.

Ben fatto, Jean-Yves!

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