Bellini e il raggio verde
A spasso per Venezia, alla scoperta delle opere del celebre pittore.
Non c’è niente di meglio, a volte, per raccogliere emozioni "vergini" di stratificazioni culturali, che andare alla scoperta di un luogo o di un’opera d’arte senza guide, senza macchine fotografiche, senza pensieri. Così, alla ventura, come portano le gambe e l’estro. Con questa totale disponibilità, riconciliati con sé stessi e con ognuno, tutto può succedere… Tanto più che qui a Venezia ogni chiesa, anche modesta, può riservare la sorpresa di un Tintoretto, di un Tiepolo, di un Palma, o di un Bellini.
Questa dove entro è intitolata a san Crisostomo. Sto avanzando lungo la navata quando, dalla cavità di una cappella a destra, si affaccia qualcosa di straordinario; una grande pala d’altare con tre figure di santi. Due ai lati, in piedi: un san Cristoforo, riconoscibile dal bastone e dal Bambino in spalla, e un giovane ignoto vescovo con mitra e pastorale (verrò poi a sapere che si tratta di san Ludovico da Tolosa). Mentre il vegliardo in alto, intento a leggere le Scritture col supporto di un tronco di fico, contro un fondale di montagne e di cielo, non c’è dubbio che sia un san Girolamo.
Nel cartiglio dipinto sulla balaustra sopra cui si stagliano la figura popolana di san Cristoforo e quella aristocratica di san Ludovico, leggo: "MDXII – Ioannes Bellinus p(inxit)". Un Bellini che non conoscevo. L’ultima opera del pittore? È una "sacra conversazione", tema affascinante che vede santi e sante di epoche diverse riuniti nella stessa composizione, a esprimere in immagini qualcosa di paradisiaco.
Ma ecco: proprio in questo momento la calda luce del tramonto irrompe dalla finestrella di destra della cappella. Le luci e le ombre dipinte sembrano prodotte dallo stesso chiarore dorato che lambisce la tela, percorre la scena, ne ravviva i colori e rende i personaggi effigiati più concreti e reali degli stessi visitatori di questa chiesa: al loro confronto, fantasmi che si aggirano nella penombra.
Non so nulla né degli influssi di Tiziano che qualcuno ravvisa in quest’opera, né degli artifizi profusi in essa da un Bellini ormai ottantenne: tutte cose che approfondirò in seguito con accresciuta ammirazione per l’artista, ma che forse ora sminuirebbero l’intensità di questo casuale a tu per tu. So solo che mi sento ammesso anch’io in questa "sacra conversazione" pacificante, toccato come da un "raggio verde" che guizza al tramonto solo in condizioni eccezionali, riempiendo gli occhi, e più l’anima, col suo imprevisto e gratuito dono. Un Bellini al suo smagliante tramonto aveva pensato a tutto ciò, per me e per quanti, in quest’ora, sarebbero venuti a pregare o soltanto a curiosare.