Bellezza immacolata
In alto e intorno una fantasmagoria di colori caldi e accesi: quelli degli affreschi fra il barocco e il neoclassico della chiesa di San Leone, riportati a nuova vita dagli ultimi restauri. In basso e al centro della navata, una meraviglia dal candore latteo: la Visitazione di Luca della Robbia, che da quei colori riceve risalto e quegli stessi esalta. Come la luce bianca, sintesi dei sette colori dello spettro solare.
Siamo a Pistoia, “la bella sconosciuta” (così l’ha definita qualcuno), che tra gli eventi di quest’anno 2017 che la vede capitale della cultura, alcuni dei quali dedicati agli artisti che hanno fatto la storia di questa città, annovera la mostra dedicata a questo capolavoro dello scultore, ceramista e orafo iniziatore di una dinastia di artisti, fra cui il nipote Andrea e il figlio di questi Giovanni, che tra il XV secolo e gli inizi del XVI furoreggiarono in Toscana con le loro terrecotte invetriate. Tecnica antichissima, che risale agli egizi e rimase in auge anche in epoca romana, bizantina ed araba, ma che Luca portò a perfezione, conferendo alla vernice smaltata delle sue sculture una bellezza, uno splendore e una corposità ineguagliabili: Madonne, ritratti, scene sacre in stile naturalistico riecheggiante l’eleganza classica che spesso non hanno nulla da invidiare a certi capolavori in marmo o in bronzo, materiali più “nobili” dell’umile terracotta.
Oltre al bianco o avorio per le persone, venivano utilizzati talvolta per lo sfondo, gli abiti e le varie decorazioni anche altri colori: inizialmente il blu, il giallo e il verde, cui si aggiunsero altri. Opere così, realizzate secondo una “ricetta” gelosamente custodita per secoli, risultavano per la loro impermeabilità agli agenti atmosferici particolarmente adatte agli ambienti esterni, mentre la lucentezza le rendeva apprezzabili anche negli interni poco illuminati.
Reduce da un lungo tour negli Stati Uniti (due mostre trionfali a Boston e a Washington) e prima di rientrare nella sua sede abituale, la chiesa pistoiese di San Giovanni Fuoricivitas, la Visitazione ha ora un posto d’onore in questa di San Leone fino al 7 gennaio 2018: occasione unica per ammirarne i dettagli da vicino e da varie prospettive.
Prima opera a tutto tondo dell’artista fiorentino, che la realizzò intorno al 1445 in proporzioni quasi naturali, raffigura l’incontro tra Maria ed Elisabetta così come viene narrato nel Vangelo di Luca. La Vergine, dopo aver ricevuto dall’angelo l’annuncio della sua maternità, si reca dalla cugina che, malgrado l’età avanzata, è al sesto mese di gravidanza. Appena avvertito il saluto di Maria, Elisabetta sente il bambino (il futuro Giovanni Battista) balzarle in grembo dalla gioia. La risposta della Vergine è un canto di lode al Signore, il Magnificat.
Maria, giovinetta dal volto dolcissimo, stando in piedi abbraccia e quasi sembra sostenere Elisabetta che, il volto segnato dall’età, rende in ginocchio omaggio alla Madre del suo Signore. Tutto si gioca nel gesto affettuoso tra due donne nelle quali è sbocciata imprevedibilmente la vita, nello scambio consapevole dei loro sguardi: incontro gioioso di anime prima ancora che di corpi. Qui giovinezza e vecchiaia sembrano onorarsi a vicenda, ognuna obbediente al proprio ruolo nel piano divino della salvezza.
Rinunciando alla policromia, stavolta Luca Della Robbia ha usato unicamente il bianco che, raccogliendo la luce, è più atto ad esprimere il profondo significato teologico della scena, oggi esaltato anche dal ritrovato candore dopo il restauro presso l’Opificio delle pietre dure di Firenze. Qui Maria appare come la creatura uscita dalle mani del Creatore nella sua perfezione originaria, la tutta pura, l’immacolata che riverbera la sua immacolatezza anche su Elisabetta e – aggiungo io – in qualche modo anche su chi si pone davanti a questo capolavoro in atteggiamento contemplativo.
Vengono in mente sia l’esortazione paolina ad «esser santi e immacolati nell’amore», sia le parole di una preghiera mariana di Paolo VI: «Insegna a noi […] ad essere immacolati, come tu lo sei», sia ancora quelle tratte da una meditazione di Chiara Lubich: «Anche se non siete immacolati, il mio amore vi verginizzerà». Una grazia che viene così spiegata dal teologo Gérard Rossé: «L’essere immacolati si riferisce ad una condotta etica irreprensibile (proviene dalla terminologia sacrificale: l’animale senza difetti, idoneo al sacrificio), […] presuppone l’immacolatizzazione avvenuta nel battesimo e si realizza nell’esistenza in modo permanente “sotto lo sguardo di Dio”. […] È in fondo la piena realizzazione della condotta nell’amore, ma dove tale amore vissuto raggiunge il suo compimento nella reciprocità, quando nel non-essere dell’agape si entra nella dimensione dell’unità: “come tu in me e io in te”».
Tutto ciò fa intuire la Visitazione di Della Robbia. Dove il divino è percepibile nel pienamente umano, e pertanto accessibile anche al non cristiano totalmente ignaro del significato di tale scena.