Il Belgio dell’irriverente Jan Fabre

Al Romaeuropa festival l’eclettico artista fiammingo mette in scena una parodia del suo Paese, bello e contraddittorio, terra di pittori ma anche di patatine fritte e di birra
Mescola recitazione, rivista, musical e balletto, circo e body art, sempre con sorprendente visionarietà. Costumi eccentrici, maschere, oggetti, e quei 15 corpi della compagnia Troubleyn, energici, vitali, instancabili in ogni genere di pratica scenica. Il tutto mixato dalla composizione musicale di Andrew Van Ostade e i testi di Edith Cassiers. Il risultato sono le fluviali 4 ore di “Belgian Rules/Belgium Rules” (ovvero “ Le regole belghe» e “Il Belgio domina”, frase che rimanda al “Rule, Britannia!” dell’Inghilterra imperiale), sontuosa parodia del Belgio contemporaneo, culla di quel geniaccio di Jan Fabre. Della sua patria mostra, quale atto d’amore, «la brutta bellezza e la bella bruttezza».
Theaterperformance Belgian Rules von Jan Fabre im Teatro Politeama
Attingendo ai luoghi comuni, alla storia e alle tradizioni del paese dalle tre lingue (vallone, fiamminga, tedesca), tra nazionalismo, respiro europeo e multiculturalità, Fabre riversa sulla scena un ironico, dissacrante, rutilante e crudele affresco – nel bene e nel male – di quello Stato da lui definito «nano, pazzo, viscido, artificiale e instabile, Paese bellissimo e contraddittorio, pieno di regole ma senza regole, utilizzato come palcoscenico per guerre altrui».
Theaterperformance Belgian Rules von Jan Fabre im Teatro Politeama
«Ai belgi non piace la guerra. Siamo un popolo che ama la pace», è una delle frasi con le quali viene descritto, ma a cui fa seguito la scoperta che delle rivoltelle fabbricate in Belgio, diecimila sono quelle vendute in un anno, ventisette al giorno, più di una ogni ora. Viene descritto ancora come schiacciato dalla burocrazia, abbuffato di patatine (che in Belgio sono nate), waffels e cioccolato, dove scorrono fiumi di birra (se ne beve a litri in scena) e dove imperversano i piccioni. Con enormi teste dei pennuti in questione (sono il fil rouge dell’intero spettacolo); casse di bottiglie di birra; pellicce di porcospini indossate in alcuni passaggi della rappresentazione per dare voce alla lingua immaginifica del teatro da salvare distruggendolo; armi tenute in mano da eleganti donne dalle lunghe mise, i performer accumulano sequenze e materiali che espandono lo scoppiettante carosello con balli tribali, aerobici e folkloristici, e improvvisi ampi gesti di danza à la Bausch.
Theaterperformance Belgian Rules von Jan Fabre im Teatro Politeama
Imperversano sulla scena tra majorette e carnevale brasiliano, andino e caraibico, culminante con sbandieratori finali; deflagrano tra dance-music , quiete classica, e canzoni di Jacques Brel (di cui ascoltiamo “Le plat pays”), tra macabro, kitsch, grazia, e citazioni visive dei grandi pittori fiamminghi.
Attraversato da quella sensualità e irriverenza tipica di Fabre, insieme ad una insistente ripetitività di sequenze – vedi l’estenuante corsa da fermi con scheletri sulle spalle mentre si declamano frasi su regole, divieti e inosservanze per essere belgi –, lo spettacolo tradisce, a tratti, il dejà vu del suo universo concettuale ed espressivo, e una struttura drammaturgica che ammicca all’esercizio stilistico. Con finale un po’ moraleggiante.
Theaterperformance Belgian Rules von Jan Fabre im Teatro Politeama
Al Romaeuropa Festival, Teatro Argentina, il 30 settembre e 1 ottobre. Poi a Mosca, Siviglia, Bruges, Amsterdam, Montpellier.

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