Beethoven dialoga con Francesconi
Si è iniziato il 3 ottobre con Luca Francesconi, classe 1956, e la prima esecuzione assoluta del suo nuovo titolo “Bread, Water and Salt” (Pane acqua e sale) su testi di Nelson Mandela per soprano coro ed orchestra. Si inizia con suoni tribali dal pianissimo al fortissimo, schiocchi, sullo sfondo di un coro ansimante tra le strida del soprano (la bravissima Pumeza Matshikiza) che passa dalla voce naturale al registro sopranile, dal parlato al lamento tra clangore di ottoni e colpo basso della grancassa.
Poi il coro mormora ondeggiante chiedendo pane e libertà. Il coro è voce dell’umanità intera, implorante ma anche irata. L’orchestra passa da ritmi jazz a timbri africani, da mormorii a sfide possenti: l’umanità alla fine, in ribellione contro il male, chiede a Dio di obbedire al suo grido. Musica evocativa, struggente, molto bella diretta con passione da Pappano, eseguita si direbbe virtuosisticamente dall’orchestra e dal coro.
Adatta come prologo attuale alla gigantesca Nona di Beethoven. Quante volte udita, nel bene e nel male. Pappano la “rivela”: equilibrio superiore fra i diversi tempi, sfumature strumentali mai udite così chiare (fagotti, corni, strumentini), impeto misteriosissimo nel primo movimento (la notte dei tempi in cui prende forma la vita), ritmo vulcanico nel secondo, il terzo – adagio molto e cantabile – sfiora la preghiera mistica nell’impasto trasparente di archi e legni e il quarto (l’umanità) vibra possente sino alla stretta rapidissima del finale. L’interpretazione di Pappano è estremamente limpida, luminosa, rivelativa.
Nessuna retorica, nemmeno nell’abusato Inno alla gioia, ma purezza di canto orchestrale e del quartetto vocale in una partitura davvero impervia. Ma, sopra tutto, la musica dei silenzi, dei pianissimi, delle pause. È forse il lato più innovativo di Pappano: sapere far suonare e cantare il silenzio, rivelandone la musica nascosta. Si continua il 10, 12, 13 con la Seconda e la Quinta di Beethoven e Spontini. Da non perdere.