Beato Ambrosoli, medico delle ferite del corpo e dell’anima
Le persone che lo hanno conosciuto ricordano i suoi tratti di umiltà, bontà, generosità, spirito di servizio, senso del dovere e la testimonianza di fede, speranza e carità. «Sforzarmi di cercare nella mia opera la gloria di Dio e il bene delle anime. E allo stesso tempo cercare di essere umili, schivando l’onore, e ritenendo il successo sempre una grazia di Dio», sono le sue parole divenute esperienza di vita quotidiana. Nato il 25 luglio 1923 a Ronago, un piccolo paese della provincia di Como, ha dedicato la vita ad accogliere e curare i malati.
Figlio del fondatore della nota azienda italiana del miele, Giuseppe Ambrosoli si laurea in medicina e chirurgia per poi recarsi a Londra per la specializzazione in malattie tropicali. Subito dopo, decide di entrare a far parte della Congregazione dei Missionari Comboniani. «Dio è amore e io sono suo servo per le persone che soffrono», spiega rivelando alla famiglia la sua vocazione missionaria.
Il 17 dicembre 1955 viene ordinato sacerdote e nel febbraio 1956 parte per l’Africa, a Kalongo, un villaggio nella savana nel nord Uganda, per gestire un piccolo dispensario medico, una capanna con il tetto di paglia dove resterà fino al giorno della sua morte, nel 1987. Padre Ambrosoli comprende subito il grande bisogno di strutture sanitarie in Africa e si dedica alla realizzazione di un ospedale che possa offrire cure e medicinali. L’ospedale, che oggi porta il suo nome, è divenuto polo di riferimento per i malati, con una capienza di 350 posti letto.
Apre i reparti anche ai malati di lebbra affermando che essi non devono essere emarginati ma curati come tutti gli altri. Avvia, poi, la scuola per ostetriche St. Mary’s Midwifery Training School, considerata oggi una delle migliori scuole di ostetricia del Paese, per ridurre il tasso di mortalità neonatale che in Uganda è ancora tra i più alti del mondo. Ad oggi, la scuola ha formato oltre milleseicento ostetriche, la cui opera professionale è richiesta anche in altri Paesi, dal Congo alla Tanzania.
Cristo sofferente è sempre stato il centro della vita di padre Giuseppe e per questo la persona malata, icona vivente del Signore crocifisso, è stata la priorità di ogni pensiero e di ogni sua azione. Aveva una straordinaria capacità di infondere speranza ai pazienti di Kalongo e alle persone che lavoravano con lui. «Le persone devono sentire l’influsso del Gesù che porto con me; devono sentire che in me c’è una vita soprannaturale espansiva ed irradiantesi per sua natura», diceva. Uomo dell’accoglienza e della generosità, ha attinto dall’Eucaristia la forza per aiutare le persone più fragili. «Dobbiamo entrare nel cerchio della Trinità… e… respirare con due polmoni: il contatto con il Signore nell’Eucaristia e attraverso il servizio disinteressato agli ammalati», sono le sue parole.
Soffriva di nefrite e per buona parte della sua vita ha lavorato con un solo rene. Nel 1987, durante la guerra civile, le truppe governative gli ordinano di evacuare l’ospedale in sole 24 ore. Padre Giuseppe riesce ad andare a Lira, a 124 chilometri a sud di Kalongo, con millecinquecento persone, tra pazienti, religiosi e civili. Questo sforzo compromette la sua salute già precaria e il 27 marzo 1987, quando arriva l’elicottero per portarlo in ospedale, P. Giuseppe è già partito per il Cielo.
Di lui scrive il postulatore, padre Arnaldo Baritussio: «Padre Ambrosoli ha certamente contribuito a inserire a pieno titolo il servizio medico nella prassi evangelizzatrice, che allora era soprattutto intesa come annuncio attraverso la Parola e i sacramenti in vista della fondazione di una Chiesa locale».
Il 29 novembre 2019 la Santa Sede ha comunicato il riconoscimento del miracolo avvenuto per intercessione di padre Giuseppe, la guarigione avvenuta in modo scientificamente inspiegabile di Lucia Lomokol, una donna ugandese di 20 anni, che stava per morire di setticemia. Il 20 novembre 2022 padre Giuseppe Ambrosoli è stato proclamato Beato a Kalongo.
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