Beatificazione Livatino, il postulatore: «Dal suo sacrificio, una primavera cristiana»
Rosario Livatino e Pino Puglisi. Due martiri della Chiesa in Sicilia. Un laico ed un sacerdote. Accomunati dalla stessa forte tensione ideale che li ha spinti a vivere non solo una fede mistica, ma una fede fatta di opere. E le “opere” in Sicilia hanno un comune denominatore: l’impegno sociale, per la propria gente, per l’isola nella lotta alla mafia.
Rosario Livatino sarà beato. Sette anni dopo don Pino Puglisi che è stato proclamato beato il 25 maggio 2013. In quell’occasione Papa Francesco disse di lui: «Educando i ragazzi secondo il Vangelo vissuto li sottraeva alla malavita e così questa ha cercato di sconfiggerlo uccidendolo. In realtà però è lui che ha vinto con Cristo risorto».
Il 21 dicembre, Papa Francesco ha autorizzato la Congregazione delle Cause dei Santi a promulgare il decreto della beatificazione di Rosario Livatino: era nato il 3 ottobre 1952 a Canicattì, in provincia di Agrigento. Venne ucciso, sulla strada che da Canicattì conduce ad Agrigento, mentre si recava al lavoro: tentò la fuga lungo i campi, venne raggiunto e freddato. Aveva preferito non avere la scorta «per evitare altre vedove e orfani». Sapeva di essere entrato nel mirino delle cosche, per la sua fama di magistrato inflessibile e severo, non «avvicinabile», che aveva fatto della volontà di combatterla mafia una ragione di vita. Per questo venne ucciso: i clan mafiosi non potevano lasciare impunito quel giovane magistrato che si opponeva alle logiche della criminalità, incorruttibile ed inavvicinabile perché cristiano. Nel suo condominio abitava anche Giuseppe Di Caro, capo della cosca locale.
Tre anni dopo la sua morte, nel 1993, l’arcivescovo di Agrigento, Carmelo Ferraro incaricò la professoressa Ida Abate, docente di latino e greco di Livatino nel liceo classico, di raccogliere le testimonianze per la causa di beatificazione. Il processo di beatificazione, aperto il 21 settembre 2011, si è chiuso il 6 settembre 2018. La documentazione è stata inviata a Roma e, due anni dopo, è arrivato il momento conclusivo. Durante la fase diocesana hanno testimoniato 45 persone e, tra questi, anche Gaetano Puzzangaro, uno dei quattro killer di Livatino. «Oggi mi farei ammazzare piuttosto che rifare ciò che ho fatto, ho testimoniato per la causa di beatificazione di Livatino perché era doveroso» afferma Puzzangaro. Nelle sue parole, il rammarico per non aver chiesto scusa ai genitori di Livatino, mentre erano vivi.
Rosalia Corbo, mamma di Livatino, è morta nel 2003; il marito Vincenzo l’ha seguita nel 2010. Rosario era il loro unico figlio. Hanno vissuto la sua morte e le vicende che sono seguite con grande dolore e compostezza. Il 9 maggio 1993 Giovanni Paolo II, in visita ad Agrigento, li incontrò: il Pontefice tenne nelle sue le mani le mani di Rosalia Corbo e la ascoltò a lungo. Dopo quell’incontro, si recò nella Valle dei Templi per celebrare la messa e pronunciò quelle parole terribili, durissime, contro la mafia: «Non può l’uomo, qualsiasi uomo, qualsiasi umana agglomerazione, mafia, non può cambiare e calpestare questo diritto santissimo di Dio. Lo dico ai responsabili: convertitevi! Un giorno verrà il giudizio di Dio!»
Quelle parole sono una sorta di “carta d’identità” della chiesa siciliana. Con due fari: Pino Puglisi e Rosario Livatino. Due martiri “in odium fidei”, uccisi proprio per la loro “scelta di vita”.
Il postulatore della causa di beatificazione di Livatino è monsignor Vincenzo Bertolone, oggi arcivescovo di Catanzaro – Squillace. È nato a San Biagio Platani, in provincia di Agrigento, stessa diocesi del giovane magistrato. Ed è stato anche postulatore della causa di beatificazione di don Pino Puglisi.
Monsignor Bertolone, quali sono stati gli elementi salienti che hanno portato al riconoscimento del martirio ed alla decisione di Papa Francesco?
Nel processo canonico super martyrio sono stati provati (con testimonianze e documenti) tre aspetti: il martirio materiale (assassinio avvenuto nel corso dell’agguato la mattina del 21 settembre 1990); il martirio formale da parte dei persecutori, mandanti ed esecutori (essi seguono un un vero culto del potere e del prestigio che ne deriva; opera, insomma, senza rimorsi contro il Vangelo e contro la vita cristiana di Livatino che la incarnava); il martirio formale dalla parte della vittima (la preparazione cristiana di Livatino sin da fanciullo; l’accettazione cristiana del fondato rischio; le minacce subite; la sua preparazione immediata al martirio: egli conservava ed intensificava lo spirito di preghiera, la fiducia in Dio, l’equilibrio e la serenità; è attestata l’ultima confessione pochi giorni prima del martirio).
Che significato ha per lei, sacerdote della diocesi agrigentina nel tempo dell’uccisione di Livatino, aver guidato il percorso verso la beatificazione ?
Quasi in preparazione al proprio “martirio di sangue”, Livatino si andava esercitando in una forma di vero e proprio “martirio a secco”, come lo aveva chiamato il Beato Giacomo Cusmano (fondatore della Congregazione dei Missionari Servi dei Poveri a cui appartengo). Il Beato Cusmano si riferiva appunto alla terra di Girgenti, configurandola come un vero luogo di “missione” e di “noviziato” in vista di un martirio a secco, un noviziato da compiere, appunto, in preparazione al martirio di sangue.
Dopo don Pino Puglisi, di cui pure lei è stato postulatore, un altro siciliano che viene riconosciuto beato per virtù eroiche “sociali”, per l’impegno contro la criminalità e la mafia “a partire dalla fede” . E’ un segno di speranza, una nuova “primavera” per la chiesa siciliana?
La terra di Sicilia, particolarmente martoriata dalle mafie nelle sue ramificazioni, è stata ed è anche la terra della testimonianza cristiana coraggiosa di don Puglisi e di Livatino. Dal loro sacrificio di sangue prende carne l’impegno di una Chiesa che da decenni ha inaugurato una nuova primavera cristiana. I Vescovi siciliani proposero Livatino tra i sedici testimoni della fede al IV Convegno Ecclesiale Nazionale di Verona (16-20 ottobre 2006), descrivendolo come “Impegnato nell’Azione Cattolica, assiduo all’Eucaristia domenicale, discepolo fedele del Crocifisso”. Già nell’aprile 1982, in un comunicato della Conferenza episcopale siciliana, si può notare la decisa volontà ecclesiale di una vera opera di risanamento, con la rinuncia a qualsiasi eventuale contiguità con la pretesa religiosità mafiosa. Lo stesso anno, il cardinale Pappalardo pronunciava la sua celebre omelia davanti ai tre feretri del superprefetto Dalla Chiesa, di sua moglie Emanuela e del poliziotto della scorta, agente Domenico Russo: “Si sta sviluppando, e ne siamo tutti costernati spettatori, una catena di violenza e di vendette tanto più impressionati perché, mentre così lente ed incerte appaiono le mosse e le decisioni di chi deve provvedere alla sicurezza e al bene di tutti, …quanto mai decise invece, tempestive e scattanti sono le azioni di chi ha mente, volontà e braccio pronti per colpire”.
Quali saranno i prossimi passaggi? Quando potrebbe avvenire la promulgazione del decreto?
Il 21 dicembre scorso, papa Francesco ha autorizzato la Congregazione delle cause dei santi a promulgare il Decreto di beatificazione di Rosario Angelo Livatino. L’assemblea liturgica di beatificazione dovrà essere tenuta ad Agrigento, presumibilmente in primavera, allorché potremo finalmente pregare Dio Padre per intercessione di un giovane martire: in anni bui di violenza e di morte, il Beato Livatino fu da Dio suscitato tra noi e per noi come fedele operatore di giustizia e testimone luminoso della fede cristiana fino al martirio.