Beati libanesi

Leonard Melki e Thomas Saleh, i due giovani frati cappuccini libanesi dichiarati beati nei giorni scorsi, sono stati martiri della fede cristiana durante la persecuzione e il massacro degli armeni, negli anni 1915-1917.
Monastero cattolico a Mar Moussa, nel distretto libanese di Metn. Fonte: Wikimedia commons, immagine di dominio pubblico; autore Joemia

Una beatificazione accolta con gratitudine dai cristiani libanesi, non solo dai cattolici o da quelli che vivono in Libano, ma anche da quelli, molto più numerosi, della diaspora, incrementata dalla difficile situazione del Paese.

La liturgia di beatificazione si è svolta agli inizi di giugno a Jal el-Dib, periferia nord-est di Beirut, presso il Convento delle suore Francescane della Croce. E non a caso lì: i nuovi beati, infatti, sono due francescani cappuccini libanesi, Leonard Melki e Thomas Saleh, martiri della fede al tempo del Grande Male (Medz Yeghern): il massacro di 1,2, forse 2 milioni, di armeni, avvenuto soprattutto fra il 1915 e il 1916 in Turchia, e che diede origine anche alla grande diaspora: oggi sono almeno 10 milioni gli armeni sparsi nel mondo (in 120 Paesi), Libano e Italia compresi, naturalmente.

I due nuovi beati, libanesi doc, non sono armeni ma fanno parte delle alcune migliaia di cristiani di altri riti che furono uccisi in quelle terribili circostanze.

Le loro storie partono insieme: erano infatti entrambi originari del villaggio di Baabdat, una ventina di km ad est di Beirut, nella regione cristiana del Metn. Fra Thomas (nato nel 1879 con il nome di Géries Saleh) aveva due anni più di fra Leonard (nato nel 1881 con il nome di Youssef Oueiss-Melki).

Colpiti dalla testimonianza di alcuni cappuccini italiani giunti nel loro villaggio, chiesero di diventare frati missionari e nel 1895 arrivarono ad Istanbul per iniziare gli studi e la formazione. Istanbul era a quel tempo la capitale del pluricentenario Impero Ottomano, da tempo in profonda crisi. Nel 1899 i due libanesi divennero frati, e il 4 dicembre 1904 insieme furono ordinati sacerdoti.

Partirono per Mardin (oggi in Turchia, una trentina di Km a nord del confine siriano) nel 1906. Per due anni animarono con passione e impegno la scuola e la comunità intorno alla missione. Poi nel 1908 i loro percorsi si divisero: padre Thomas venne trasferito prima in Armenia e poi a Diyarbakir, sulle sponde del Tigri, uno dei principali centri a maggioranza curda; padre Leonard rimase a Mardin, poi passò in Armenia e ad Urfa, l’antica Edessa. All’inizio della Prima Guerra Mondiale (1914) era però tornato a Mardin, dove si trovava anche un anziano frate italiano, padre Daniele.

Nel caos che regnava nell’Impero Ottomano di quegli anni, fin dal 1870 era andato crescendo il movimento nazionalista dei “Giovani Turchi”, deciso a contrastare la presenza straniera in Turchia e nell’Impero, fino a progettare un piano per eliminare anche le minoranze religiose non musulmane (soprattutto armeni, greci e assiri). E gli armeni, pur vivendo nella penisola anatolica da prima dei turchi, erano cristiani e molti di loro erano da sempre vicini alla Russia, nemico giurato dell’Impero Ottomano. Nacquero così le cosiddette “marce della morte”, trasferimenti forzati di migliaia di uomini, donne e bambini armeni verso territori extra-anatolici, durante le quali molti morirono di stenti e tanti altri furono uccisi, e i loro corpi gettati in grotte e pozzi, o sepolti frettolosamente in fosse comuni.

Quando a febbraio 1915 i soldati occuparono completamente il convento francescano di Mardin, padre Leonard non volle fuggire per restare accanto a padre Daniele, ottantenne e malato. Più tardi, ad inizio giugno, padre Leonard fu arrestato e torturato per indurlo a ripudiare la fede cristiana. Poiché non lo fece, il 10 giugno venne inserito in un gruppo di 416 prigionieri destinati a marciare verso Diyabakir. Durante la marcia, nei pressi di Kalaat Zirzawane, di fronte all’ennesimo rifiuto di rinnegare la fede, tutti i 416 prigionieri, compreso padre Leonard, furono uccisi in due giorni con pietre e scimitarre: l’ultimo ad essere abbattuto con un colpo di pistola fu monsignor Maloyan, il vescovo armeno cattolico di Mardin (beatificato nel 2001).

Padre Thomas, che si trovava ad Urfa, venne accusato di aver nascosto un sacerdote armeno (condannato a morte) e di essere in possesso di un’arma (probabilmente lasciata di proposito nella sua stanza dagli inquisitori). Incarcerato, privato del cibo e torturato, morì di tifo il 18 gennaio 1917 a Maraş (oggi Kahramanmaraş), circa 200 km a ovest di Urfa.

«Oggi – come afferma il vescovo latino di Beirut, mons. César Essayan  –, noi celebriamo non due frati morti, ma due frati risorti in Cristo, che ci mostrano la strada della santità». Una santità che ha anche una profonda valenza ecumenica, come sottolineava qualche tempo fa il cardinale Kurt Koch, presidente del Pontificio Consiglio per la Promozione dell’unità dei cristiani: «I cristiani oggi non sono perseguitati perché sono ortodossi o ortodossi orientali, cattolici o protestanti, ma perché sono cristiani. Il martirio oggi è ecumenico, e si deve parlare di un vero e proprio ecumenismo dei martiri».

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