Beati i perseguitati?

Una Ong protestante indica in 3.066 i seguaci di Cristo uccisi nel mondo nel 2017 per motivi legati alla loro fede. Lo “statuto evangelico” è impegnativo per chi prende sul serio le parole di Gesù

Nel 2015 erano stati addirittura 7.106 e nel 2016 erano scesi a 1.207. Nel 2017 sono stati 3.066: 2.000 uccisi in Nigeria, 500 nella Repubblica centrafricana, 136 in Congo. Cifre da brivido, quelle pubblicate come ogni anno dalla Ong protestante Doors Open, Porte Aperte, una rete che raggruppa una ventina di associazioni indipendenti protestanti operanti in più di 60 Paesi del mondo. L’associazione pubblica ogni anno un Indice mondiale della persecuzione cristiana, che elenca i 50 Paesi in cui i cristiani di tutte le Chiese sono nel mirino di chi non ne vuole sapere del cristianesimo.

La cifra di 3.066 cristiani uccisi, include solo i fatti che l’associazione è stata in grado di «verificare con certezza» sulla base delle informazioni raccolte dalle sue reti di consulenti e informatori. I dati sono parziali perché di alcuni Paesi non si può dire nulla di certo, o quasi, come Corea del Nord, Afghanistan e Somalia. Viene sottolineata la crescita del «nazionalismo religioso» in certi Paesi asiatici (India in testa, senza dimenticare Nepal, Myanmar e Laos) che non sono musulmani. Naturalmente il mondo a maggioranza musulmano (ed altri con forte presenza islamica, come la Nigeria) è quello nel quale vengono registrati il numero maggiore di casi, con un’attenzione particolare a Egitto, Iraq e Libia.

Non è semplice analizzare questi dati e non possono essere fatti discorsi di nessun genere prima di fare una premessa, prendendo a prestito le parole di papa Francesco: «Preghiamo per i cristiani che sono perseguitati, spesso con il silenzio vergognoso di tanti». Il silenzio non è la soluzione, non possiamo girare la testa dall’altra parte per non vedere quanto soffrono i nostri fratelli correligionari nel mondo. Alcune precauzioni però vanno prese nel denunciare tali misfatti. In primo luogo una denuncia cruda e senza precauzioni mediatiche paradossalmente può talvolta peggiorare la situazione degli stessi cristiani in situazioni estreme di persecuzione. In secondo luogo, la denuncia da parte dei cristiani non basta se non si opera attivamente per la sopravvivenza delle comunità che vivono in contesti ostili. In terzo luogo, mi sembra non vada dimenticato come troppo spesso la denuncia espressa da chi non corre alcun rischio nel nostro Occidente industrializzato possa essere solo un modo per anestetizzare la paura indistinta generata dalle nostre società opulente.

APTOPIX India Pakistan

Ma c’è un tema più profondo da affrontare. Il cristianesimo è una religione in cui il fondatore ha parlato esplicitamente di persecuzioni presenti e future, indicando addirittura come “beati” i perseguitati a causa del suo nome: «Beati quelli che sono perseguitati per la giustizia, perché di loro è il regno dei cieli. Beati voi quando vi insulteranno, vi perseguiteranno e diranno, mentendo, ogni sorta di male contro di voi per causa mia», è scritto nel Vangelo di Matteo (5, 10-11).

Non può essere messo il silenzio nemmeno su queste affermazioni. Ma nel contempo Gesù di Nazareth ha predicato una dottrina dell’amore assoluto, che ama anche il nemico, quindi anche il persecutore. Ciò porta, molto spesso, alla difficoltà a conciliare la propria identità cristiana col “dialogo”: prima di dialogare dovrei aver maturato una forte identità, atta a “proteggermi” quando mi espongo nel dialogo con chi è diverso da me. A priori il ragionamento non fa una piega, al punto che l’attuale mancanza di volontà di dialogo da parte di tanti occidentali, anche cristiani, pare una diretta conseguenza di questa perdita di identità: bisogna che io ricostruisca la mia identità prima di dialogare.

Vediamo tuttavia il problema da un altro punto di vista: effettivamente il termine “dialogo” è assai complesso. Si parla troppo di dialogo in senso confuso, spesso sincretista o irenista. Così oggi se ne pagano le conseguenze, in una spinta identitaria talvolta esagerata, che crea danni ovunque. L’identità da tanti viene vista perciò come necessaria per opporsi efficacemente al “diverso-da-sé”, piuttosto che come modo per convivere efficacemente. Al punto che per tanti l’identità cristiana si costruisce proprio sulla contrapposizione. Mentre l’identità del cristiano la si trova sempre e comunque nell’amore, per amici e nemici. L’amore per gli “amici” (cioè per gli altri cristiani, se necessario alzando la voce per chi di loro è minacciato) e quello per i “nemici” (cioè il diverso-da-sé, anche per religione, non necessariamente violento) non sono mire contraddittorie. Sono scopi che evidenziano la paradossale esperienza cristiana. Paradossale come il Vangelo.

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