Basta violenza
«Avevo solo 4, 5 anni, ma ricordo bene la paura che provavo quando a casa arrivava quello zio. Mi prendeva in disparte e mi toccava».
«Ho passato molte notti accucciata accanto al letto, mentre mio marito dormiva. Litigavamo e mi insultava, poi voleva stare con me, ma io rifiutavo. Lui mi riempiva di botte e io mi rifugiavo sul pavimento per non svegliare i bambini. Altre volte, il mio rifiuto non bastava e mi violentava. Volevo uccidermi o uccidere lui. È stato un inferno».
«Ero sul bus e, nella calca, un uomo mi si strusciava addosso. Ho provato a spostarmi, ma mi seguiva e ricominciava». Ogni donna lo sa. Sa che potrebbe incontrare qualcuno che vuole abusare di lei. Senza differenze di ceto sociale, religione o età. Secondo i dati della Fondazione Terre des hommes, nel 2016 più di due bimbi ogni giorno, in Italia, hanno subìto violenza sessuale, circa 950 l’anno. Oltre l’80% delle violenze aggravate ha riguardato le bambine. Aggiungendo altri reati (percosse, violenze psicologiche, sfruttamento…), si superano i 5 mila casi. La violenza non si ferma nemmeno davanti ai capelli bianchi. Nei mesi scorsi sono state diverse le anziane stuprate: a Bari, Sorrento, Milano… E se talvolta l’aggressore è uno straniero, sospendiamo i giudizi.
«La violenza sessuale – spiega il vicequestore aggiunto della polizia di Stato, Nunzia Alessandra Schilirò, a capo della IV sezione della squadra mobile di Roma che si occupa di reati sessuali – non è soltanto quella che avviene quando una donna cammina per strada e viene stuprata. Le violenze ad opera di sconosciuti sono una piccola percentuale, anche se la recente cronaca ha raccontato casi abominevoli». Le violenze sessuali avvengono più frequentemente «tra le mura domestiche o tra per- sone che si conoscono».
Violenze in famiglia
Secondo i dati Istat, sono oltre 7 milioni le italiane che, nella loro vita, hanno subìto un abuso: dalla palpatina allo stalking (circa 3,5 milioni di casi l’anno, ma quasi 8 su 10 non hanno denunciato), dalle percosse agli stupri. E il dato sarebbe sottostimato. «La violenza sulle donne – afferma don Stefano Castaldi, sacerdote di una parrocchia del Centro Italia – è un fenomeno molto diffuso e sommerso, che non viene alla luce o perché le donne non sanno come tutelarsi o per pudore, soprattutto se ci sono figli e non si vogliono provocare loro disagi». Per questi motivi, «la donna rimane “invischiata” in situazioni che possono comprendere l’atto manesco, l’imposizione sessuale, la violenza verbale, molto diffusa e con un forte impatto psicologico, e l’indifferenza dell’uomo nei confronti dei problemi della famiglia. Tutto questo porta a uno stato di depressione e a un sentimento di dignità offesa, ma poche donne denunciano». Cosa dice la Chiesa? «Ci sono situazioni estreme – sottolinea don Stefano – in cui è consigliabile la separazione e la Chiesa lo permette». Al punto 241 dell’Amoris Laetitia, l’esortazione apostolica di papa Francesco, si legge: «In alcuni casi la considerazione della propria dignità e del bene dei figli impone di porre un limite fermo alle pretese eccessive dell’altro, a una grande ingiustizia, alla violenza o a una mancanza di rispetto diventata cronica. Bisogna riconoscere che “ci sono casi in cui la separazione è inevitabile. A volte può diventare persino moralmente necessaria, quando appunto si tratta di sottrarre il coniuge più debole, o i figli piccoli, alle ferite più gravi causate dalla prepotenza e dalla violenza, dall’avvilimento e dallo sfruttamento, dall’estraneità e dall’indifferenza”. La separazione, naturalmente, “deve essere considerata come estemo rimedio, dopo che ogni altro ragionevole tentativo si sia dimostrato vano”».
«Se un parroco – aggiunge don Stefano – venisse a conoscenza di casi di violenza estrema o continuata, è tenuto a dire alla donna: allontanati, troviamo una soluzione. Se si intuiscono disagi, non bisogna aver paura di “immischiarsi”, perché ci sono problemi che la coppia non sa risolvere da sola. Non si deve arrivare a dire, dopo un femminicidio: ma nessuno si era accorto di niente?».
Femminicidio, di cosa parliamo?
Secondo i dati Istat, sono oltre un centinaio, ogni anno in Italia, le donne uccise per motivi di “gene- re”, legati cioè alla loro identità sessuale: perciò si chiamano femminicidi. Generalmente, l’assassino è un uomo con cui la donna aveva un rapporto affettivo o familiare.
Negli ultimi 10 anni, in Italia, ci sono stati quasi 1.800 casi e circa l’80% degli omicidi è avvenuto in famiglia. Nel 2017, in media, è stata uccisa una donna ogni 3 giorni. Tra le vittime dei femminicidi, dal 2000 ad oggi si contano altre 1.600 persone. Sono i figli di questi rapporti tragici: quest’anno sono già una quarantina, di cui 22 – minori – hanno visto il padre uccidere la madre. A loro favore, c’è un progetto di legge bloccato in Parlamento.
Un dramma sottovalutato
«C’è una sottovalutazione assoluta della gravità della violenza nei confronti delle donne, con miglia- ia e migliaia di situazioni di maltrattamento fisico, psicologico, economico e sessuale che si realizzano tutti i giorni tra le mura domestiche», afferma Elisa Ercoli, presidente dell’associazione Differenza donna, nata a Roma nel 1989, a cui ogni anno si rivolgono circa 1.400 vittime.
Per aiutarle, anche giuridicamente, ci sono i centri antiviolenza: gruppi di donne che aiutano altre donne (o bambine). «Gli stupri commessi da uomini che non hanno una relazione intima con la donna – spiega Ercoli –, sono il 2-3% del totale. Il 98% circa delle violenze avviene in famiglia». E, purtroppo, la violenza genera violenza. Come quella dei figli che arrivano ad uccidere il padre per difendere la madre.
Ascoltare, accogliere, aiutare
Purtroppo, sottolinea Ercoli, c’è un aumento della mercificazione del corpo femminile ed esistono evidenti disparità a livello economico, sociale e lavorativo. Eppure, finalmente, le donne denunciano di più, le leggi sono più chiare, le possibilità per uscire dalle violenze più numerose. Dopo lo scandalo che ha coinvolto il produttore americano Harvey Weinstein, sui social è partita una campagna dal titolo #quellavoltache, per aiutare le donne a raccontare gli abusi subìti. E in centinaia hanno risposto, come un fiume in piena, raccontando storie di dolore inimmaginabile, come «#quellavoltache una mia amica mi raccontò di essere stata violentata da bambina. Era la terza amica che me lo raccontava…», o «#quellavoltache per salvarmi dalle botte e dalle minacce, mi rivolsi alla polizia e mi dissero di tornare a casa che i litigi sono normali». Ogni aiuto può rivelarsi inutile se, quando la vittima denuncia, non le credono o le chiedono: «Ma tu com’eri vestita?». «Purtroppo – afferma il vice-questore Schilirò – esistono questi casi ed è vergognoso. Bisogna creare un rapporto empatico con queste donne, perché sono lese nell’anima. Hanno bisogno di sostegno sociale e questo vuole dire che noi tutti, come cittadini, siamo chiamati ad ascoltarle, accoglierle. Purtroppo spesso minimizziamo. A una donna che subisce maltrattamenti, le frasi: “Cosa hai fatto per provocarlo? Non esagerare…”, producono un corto circuito che le porta a chiudersi sempre di più». La donna, conclude il vicequestore Schilirò, «non deve pensare di essere colpevole. Non deve sentirsi in colpa se prende le botte, non è colpa sua se la cena non è stata gradita. E se una donna che conoscete è cambiata, ha modificato l’abbigliamento, si è chiusa in sé stessa, non esce, statele vicino: potrebbe aver bisogno del vostro aiuto».
Donne e uomini
CHIARA D’URBANO
psicologa e psicoterapeuta
Perché l’uomo è così violento, è un problema di ormoni?
No. È un problema di mancata educazione nei riguardi dell’affettività e dell’amore, di narcisismo contemporaneo. L’uomo degenera in forme di violenza fisica quando non sa sostenere la frustrazione, i no, l’abbandono da parte della sua donna, in un rapporto già in crisi. Siccome è immediato e diretto, fa fatica a moderare la sua forza, più facilmente sfoga la rabbia, non la controlla. Mi pare sia più in crisi il maschile del femminile.
Invece la donna?
Anche per lei vale il discorso sulla necessità di un’educazione emotiva e relazionale. La donna ha un mondo interiore meno istintuale dell’uomo, per cui agisce in modo diverso: ti mette il muso, si rende fisicamente non disponibile, non ti fa trovare l’ambiente che vorresti, sa giocare con le parole fino ad mortificarti. Atti diversi, ma altrettanto aggressivi. La donna fa fatica sul piano dell’autenticità, della trasparenza; se poi è immatura, utilizza strategie per manipolare le persone. L’uomo e la donna hanno potenzialità e risorse differenti, che devono imparare a usare in positivo.
Donna al potere o uomo al potere. Chi è meglio?
È questione di stile, non di chi è più bravo. La leadership maschile è asciutta, rapida, meno empatica, trascura i dettagli, ma raggiunge l’obiettivo minimo. La leadership femminile è più articolata e attenta alle situazioni, col rischio però di mettere troppo in gioco alleanze, simpatie e antipatie, senza magari risolvere la situazione in breve tempo. È uno stile diverso di management.
Anche il senso di giustizia viaggia su piani diversi: la donna ha «l’etica della cura» (Gilligan), quindi commisura la giustizia alla persona che ha davanti, mentre l’uomo dice «è sbagliato» se la norma è violata. Ognuno usa parametri diversi, che in alcuni contesti vanno meglio, in altri peggio.
Questa società è negativa per la donna?
No. C’è piuttosto una diseducazione generale, per uomini e donne, nei riguardi dell’affettività e dell’amore. Da ambo le parti c’è povertà, fragilità, individualismo. Abbiamo bisogno di recuperare alcune dimensioni umane che stiamo perdendo. Facciamo fatica a crescere nelle relazioni, a perdonare. Quindi non ho un problema particolare io come donna, c’è una difficoltà che vale per tutti noi come esseri umani. Dobbiamo darci una mano, uomini e donne, a riumanizzarci. Ma sono ottimista, ce la faremo.
a cura di Giulio Meazzini
Ragazze elettriche
Giulio Meazzini
Un libro violento, molto violento. Ma istruttivo. Immaginiamo che un giorno le donne scoprano di avere acquisito un nuovo potere: la possibilità di lanciare scariche elettriche dalle mani. Scariche lievi, che possono infastidire un uomo, scariche forti, che possono ucciderlo. Improvvisamente tutto cambia: gli uomini imparano ad avere timore dell’altro sesso, a camminare con gli occhi bassi, a non uscire da soli la sera e così via. La pubblicità incita le donne: «Sii forte, così otterrai tutto quello che vuoi». Per un lettore maschio, scorrere le pagine di questo romanzo (Naomi Alderman, Ragazze elettriche, Nottetempo) significa sperimentare un disagio crescente, per qualcosa che tante donne vivono quotidianamente: il sentirsi in stato di inferiorità, il timore di essere “ferite” nel fisico, nell’autostima e nei rapporti sociali, la paura di essere uccise. Nel romanzo, nonostante iniziali tentativi di resistenza, man mano le donne prendono il potere, mentre aumentano discriminazioni e violenze, fino all’emanazione di leggi che vietano agli uomini di uscire di casa senza la “garanzia scritta” di una donna. Nel frattempo viene imposta la nuova religione in cui Dio è “femminile”, con le conseguenze del caso. L’uomo è un essere inferiore (irrecuperabile) e come tale viene trattato, mentre le donne si mostrano anche più perfide e crudeli dei maschi. Durante un eccidio, in cui giovani vengono prima umiliati con forme di sessualità estrema e poi uccisi, una donna che ha perso il potere e un uomo che ha sperimentato la paura osservano insieme da lontano l’orgia di violenza. A un certo punto lei chiede: «Ma perché lo fanno?». Lui risponde: «Perché lo possono fare, perché ne hanno il potere». Alla fine il confuso mondo che va nascendo sembra peggiore del precedente. La morale del romanzo potrebbe essere questa: la guerra dei sessi è una stupidaggine. Il potere e la violenza, fisica e psicologica, non dipendono dal sesso ma dalla volontà (e possibilità) di farlo. L’alleanza tra donna e uomo – fatta di rispetto, stima e amore reciproco – è l’unica, reale opportunità che abbiamo di salvare il nostro futuro e cambiare in meglio il mondo.