Basta un po’ di coraggio

Nella nostra città confluiscono molti emigrati, la maggior parte musulmani. Ci sono delle scuole dove il 98 per cento degli allievi sono figli di stranieri. I genitori lavorano ambedue; così i bambini, il pomeriggio dopo la scuola, sono abbandonati a loro stessi. Girano nel quartiere e ne combinano di tutti colori, con crescente violenza. Abbiamo preso di mira quel quartiere e deciso di organizzare ogni sabato pomeriggio un workshop per questi bambini. La prima volta è stato un grande successo: i ragazzi sono rimasti entusiasti e ancora di più i genitori che erano venuti con loro a cantare canzoni tipiche e ad offrire a tutti tè alla menta. Il lunedì i bambini hanno raccontato spontaneamente a scuola del workshop, invitando gli altri a parteciparvi il sabato successivo. La direttrice della scuola, sorpresa anche lei per tale risultato, ne ha parlato durante le lezioni e un professore, particolarmente incuriosito, voleva sapere cosa ci spingeva. Ci ha ascoltati con interesse, poi ci ha fatto una proposta: “Se trovate alcune persone che la pensano come voi e sono pronte a scendere in campo per realizzare tale progetto, m’impegnerò io a trovarvi i fondi, i locali e il riconoscimento ufficiale della città di Anversa”. Per noi era una proposta allettante. Si sono subito programmati altri incontri, sia della scuola che del quartiere: l’assistente sociale, un rappresentante della comunità musulmana, un poliziotto e un rappresentante belga del quartiere minacciato ci hanno aiutati. Riuscire a mettere insieme persone così diverse è stato il primo miracolo. Al secondo sabato, anziché dieci, i bambini erano raddoppiati. Non sono mancate le difficoltà e alla fine della giornata, facendo il bilancio delle ore trascorse insieme, ci è sembrato un mezzo fallimento. Ma la direttrice ci ha voluto consolare: “È andata benissimo! Dovete sapere che a scuola non riusciamo mai a tenerli tranquilli per più di un quarto d’ora, mentre con voi sono rimasti più di un’ora senza litigare. Erano contenti, sono venuti addirittura a ringraziare, che volete di più?”. Così questi workshop sono diventati ormai tradizione nel quartiere. Il progetto – come promesso – ha avuto il riconoscimento ufficiale del comune. Tra altro abbiamo realizzato insieme ai ragazzi un cd con le loro musiche e le nostre, una piccola testimonianza di unità fra due culture diverse. C’è stata una bellissima collaborazione: il nostro chitarrista accompagnava i loro canti e uno dei ragazzi accompagnava con le percussioni i nostri brani musicali. Inoltre l’assistente sociale del quartiere ci ha fatto sapere che le mamme sono riconoscenti per le nostre attività: per loro è sempre un piccolo miracolo vedere bambini appartenenti a nove nazionalità diverse giocare insieme il sabato pomeriggio. L’assessore comunale alla gioventù ci ha poi confermato che queste iniziative appaiono una delle rare soluzioni valide per i problemi della città. Effettivamente nei ragazzi del quartiere si nota un grande cambiamento. Uno di loro ci ha chiesto un giorno perché facevamo tutto questo: era per noi un lavoro pagato? Quando abbiamo risposto che lo facevamo per pura amicizia e spontaneamente, sono rimasti sbalorditi e molto, molto contenti. In occasione del matrimonio di due nostri giovani è stata invitata alla festa una rappresentanza dei bambini accompagnati dalla direttrice. Per questi ragazzi è stata un’esperienza indimenticabile: per la prima volta uscivano dal loro quartiere. I loro genitori non sapevano come ringraziarci… Una mamma musulmana, conosciuta per la sua ostilità, ha cambiato atteggiamento dopo questa festa, e dimostra ora un maggior rispetto per i belgi che lavorano nella scuola.

Edicola Digitale Città Nuova - Reader Scarica l'app
Simple Share Buttons