Basta con la Chiesa light!

Non dobbiamo avere il complesso di inferiorità.  Il laicismo del Paese non sia una scusa per non evangelizzare. Intervista a mons. Wirz, presidente della conferenza episcopale uruguayana.
Cattedrale di Maldonado

Lo incontro nel suo modestissimo episcopio, proprio dietro la cattedrale di Maldonado, città situata nel quarto sud-orientale dell’Uruguay, a 95 chilometri da Montevideo. Mons. Rodolfo Pedro Wirz, presidente della Conferenza episcopale uruguayana, vescovo della più giovane delle dieci diocesi uruguayane, è uomo di dialogo e di povertà.

Il papa sudamericano parla di «periferie esistenziali» dell’uomo, verso le quali i cristiani dovrebbero dirigersi. L’Uruguay è una di queste periferie?
«Certamente il nostro Paese è atipico in America Latina per tre ragioni: perché è lo Stato più piccolo; perché è quello più laicista, anticlericale e antireligioso, in cui è proibito parlare di Dio nelle scuole o appendere il crocifisso nelle stanze d’ospedale; perché si registra una bassissima natalità, e dove il 75 per cento della popolazione è adulto, con percentuali inverse rispetto ad altri Paesi limitrofi. La separazione tra Stato e Chiesa è positiva nella sostanza ma grave quando non rispetta il credo della gente.

Eppure la Chiesa è stata in questo all’avanguardia, visto che il primo arcivescovo, mons. Mariano Solar, prima della politica locale, aveva affermato i princìpi della dottrina sociale cristiana di Leone XIII: lavoro infantile, diritti delle donne, riposo domenicale. Mentre il primo vescovo della diocesi di Montevideo, che fino al 1870 era una vicaria di Buenos Aires, mons. Jacinto Vera Durán, di cui si sta avviando il processo di beatificazione, aveva spiritualmente riunito il Paese cavalcando dal Nord al Sud e dall’Est all’Ovest per territori che non avevano strade. Le nostre quindi, in certo modo, sono delle periferie, e siamo molto vicini al papa quando usa espressioni porteñe molto vicine a quelle usate qui in Uruguay.

Nel 2016 festeggeremo i primi 500 anni della fede cristiana in Uruguay e Argentina, visto che si suppone che le prime messe siano state celebrate in quell’anno sul bordo del Rio de la Plata. La nostra storia ecclesiale, in realtà, è lunga solo tre secoli, in un Paese costituito solo da immigrati spagnoli, portoghesi, italiani e francesi, sostanzialmente, senza dimenticare l’influenza inglese, che ha portato servizi quali l’acqua potabile, la ferrovia, i frigoriferi, i tram. Anch’io sono un figlio di immigrati, visto che sono nato in Germania ma sono venuto qui molto piccolo al seguito di mia madre, rimasta vedova di guerra».

Cambia qualcosa per voi per il fatto di avere un sudamericano in Vaticano?
«Sì, cambia. In questo clima agnostico, che prescinde dalla Chiesa e soprattutto da Dio, siamo abituati noi cristiani a una convivenza pacifica con lo Stato e con la mentalità corrente, e non ci scandalizziamo certo per le posizioni morali della gente, come sul divorzio o sull’aborto. Abbiamo assunto, come si dice, un profilo basso. Forse è tempo per la Chiesa uruguayana e per i cristiani di questo Paese di avere un po’ più di aggressività, nel senso buono della parola: dovremmo essere più diretti e meno timorosi, senza complessi d’inferiorità.

Siamo timidi nel panorama sociale, nei media ci chiamano quando vogliono loro, anche perché abituati a piccole cifre: solo il 3 per cento di coloro che si dichiarano cattolici (il 53 per cento della popolazione) è praticante regolare. Bisogna migliorare nell’autostima! E il papa ci invita a farlo».

Può argomentare meglio questo suo pensiero?
«Alla Gmg di Rio si sono recati 3 mila giovani uruguayani, lo stesso numero di quelli che hanno partecipato lo scorso anno alla Gmg locale. È un capitale non sufficiente ma da valorizzare. Abbiamo una buona pastorale giovanile, ma non dappertutto. Abbiamo scuole cattoliche, senza sussidi, in cui non si evangelizza a sufficienza, per il timore dovuto al clima anticlericale circostante. La situazione della famiglia è veramente grave, a geometrie variabili ormai. In Parlamento ci sono deputati cattolici che non hanno nessuna vera formazione cristiana, che non difendono abbastanza i valori cristiani, senza “militanza” cattolica. E così nei sindacati la nostra presenza è non dico infantile ma minoritaria sì. Dobbiamo perciò essere più attivi e propositivi».

Recentemente è stata inaugurata a Montevideo un’immensa cattedrale appartenente alla Chiesa universale del Regno di Dio, una espressione evangelica, o più precisamente evangelicale. Cosa dire della presenza di tanti culti originali?
«Certamente queste Chiese a livello popolare hanno una grande influenza, anche se la loro presenza, salvo alcuni casi, è tutto tranne che perseverante. La metodologia è semplice: un uomo si improvvisa pastore e apre una chiesa, costruisce un edificio di culto, spesso trova aiuti all’estero per attirare con qualche dono dei fedeli… Altro che le “procedure” cattoliche, con i nostri complicati percorsi catecumenali e spesso con la nostra evangelizzazione poco vicina alla gente! Non tutta la Chiesa cattolica è così, tante sue parti sono accanto alla popolazione, ai poveri, ai bisognosi; ma c’è molto da fare ancora».

Recentemente i cattolici hanno promosso un referendum abrogativo della legge sull’aborto, che ha ottenuto risultati francamente sconfortanti. Sembrava che nemmeno i preti fossero convinti della sua bontà…
«Il problema per questi preti non era la visione cristiana della vita, ci mancherebbe, ma l’opportunità di appoggiare questo referendum, perché ciò avrebbe messo in evidenza l’esiguità della nostra presenza minoritaria. Molta gente non ha nemmeno partecipato al voto pur essendo contro l’aborto, perché ritiene che sia una questione di competenza esclusiva del Parlamento. Il risultato era doloroso ma prevedibile».

Non pochi ordini religiosi appaiono in crisi in Uruguay.
«In realtà alcuni ordini hanno ridefinito le loro organizzazioni interne a livello sudamericano, anche se è innegabile l’invecchiamento, soprattutto per le congregazioni femminili, che hanno chiuso non poche scuole. Ora, bisognerebbe approfittare maggiormente della presenza dell’Università cattolica, delle pastorali diocesane. Servirebbe anche a loro una nuova spinta. Ci sono luoghi dove i laici riescono a sostenere delle parrocchie anche in assenza di preti, grazie anche al diaconato permanente».

Che dire della presenza dei movimenti e delle nuove comunità?
«Ci sono buone esperienze di presenza di movimenti ecclesiali. Dipende dalle diocesi, visto che i movimenti sostanzialmente sono concentrati a Montevideo, che conta la metà della popolazione uruguayana. Le altre diocesi, come la mia, sono sostanzialmente costituite dalle parrocchie: io stesso ho solo pochissime persone che mi aiutano e la notte debbo pure correre se c’è bisogno del sacerdote per un’urgenza. Sottolineerei soprattutto la presenza del Movimento dei Focolari e dell’Opus Dei, di cui da poco è stato nominato un vescovo. Più problematica è la presenza del Cammino neocatecumenale».

Che futuro vede per questo Paese e questa Chiesa?
«Il problema demografico è grave. Siamo così concentrati su noi stessi che spesso non vediamo quali sono i veri problemi e si fa una certa confusione. In questo momento, ad esempio, si discute animatamente della legalizzazione della marjuana, ormai avvenuta, mentre la polizia ha appena sequestrato mezzo milione di quella droga! Serve un po’ più di chiarezza. In quanto Chiesa, lo ripeto, la visita di papa Francesco in Brasile è fonte di speranza, perché ci ha detto come mostrare una Chiesa più vicina al popolo.

Noi cristiani dovremmo lamentarci un po’ meno – è questo lo sport nazionale uruguayano! – e agire un po’ di più, dare la buona immagine della Chiesa. La nostra è una Chiesa un po’ troppo light, che nutre un forte complesso di inferiorità. È ora che i cattolici siano leader, anche i laici. Non dobbiamo rimanere solo sulla difensiva, dobbiamo attaccare l’immensa ignoranza religiosa che c’è nel Paese: ci sono dei professionisti e professori che hanno un incredibile deficit di cultura religiosa (non di religione), imperdonabile in accademici di quella portata!».

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