Basta con l’8 marzo!

Una giovane lettrice prova a rileggere la storia del femminismo per uomini e donne che non vogliono sentir parlare di questa festa. Causa? La banalizzazione della figura femminile e la svendita della dignità
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Nel giro di due soli giorni ho sentito ben due amici dirmi: «L'8 marzo mi turerò le orecchie, non accenderò la televisione e non aprirò i giornali:la festa della donna non la capisco!». E non l'hanno affermato con spirito maschilista, sono invece perplessi dal modo in cui viene esaltata e rappresentata oggi la donna. Quando ho provato ad accennare al femminismo, non l'avessi mai fatto! Mi hanno risposto che tutto è cominciato lì, che la libertà raggiunta in quanto a costumi, atteggiamenti e stili di vita ha portato ad esagerazioni negative.
Gli esempi sono davanti ai nostri occhi: donne in abiti trasparenti in televisione, donne deputato, che scimmiottano l'uomo e che in Parlamento entrano senza conoscenze tecniche (non tutte per fortuna), immagini pubblicitarie che hanno cancellato qualsiasi pudore, e la lista di esempi potrebbe continuare. Io invece affermo il contrario: si è arrivati a questa situazione perché il femminismo non è stato compreso, sia dalle donne sia dagli uomini. Dagli anni Settanta ad oggi qualcosa deve essere andato storto durante il passaggio generazionale delle informazioni.
 
Se riavvolgiamo il nastro della storia incontriamo due femminismi. Siamo agli albori del 1900 e sulla scia di novità filosofiche e nuove dottrine politiche alcune donne del mondo anglosassone appartenenti a classi agiate chiedono alcuni diritti fondamentali: da un welfare più attento e sensibile fino al diritto di voto. Non hanno chiesto di instaurare un sistema matriarcale, non si sentono superiori al genere maschile: hanno cominciato a capire di essere anch'esse persone. Cosa non scontata e che scandalizza parecchio.
 
Poi ci sono due guerre mondiali e non è tempo per filosofeggiare. Intanto la rivoluzione industriale vede le donne impiegate nelle fabbriche e con un ruolo diverso nella famiglia. L'Europa sembra ancora avvolta da un velo di tradizionalismo. Alla fine della seconda guerra mondiale però le donne di molti Paesi ottengono il diritto di voto. Si pensa così di aver sistemato i conti. Ma la storia ne avrebbe presentati ben presto altri.
 
Il ’68 è il tempo di nascita di un secondo femminismo. Alcuni amici di quel periodo conoscono solo l'immagine di femministe che nelle manifestazioni uniscono le mani a formare il simbolo dell'organo sessuale: un’esagerazione volgare forse, ma penso che a volte per cambiare sia necessario scandalizzare i benpensanti, ma fermarsi solo ai gesti non si può. Cosa rivendicano in realtà?
Le donne hanno cominciato a ritrovarsi in piccoli gruppi, a casa di una, a casa dell'altra o in circoli, nessun movimento di massa o rumore di piazza insomma. Parlano dei loro problemi, di quanto si sentano sole nella crescita dei figli, sole nella scelta del loro futuro, sole su tante tematiche. Capiscono improvvisamente di essere persone non riconosciute nella loro specificità: hanno il diritto di voto ma la donna ancora non è nessuno! Manuela Fraire, femminista di quei tempi, scrivendo di quel periodo ricorda che da bambina desiderava essere “intelligente come un uomo”. Perché per essere intelligente avrebbe dovuto scimmiottare l'altro sesso? Per fortuna con gli anni si è accorta che ciò non serviva!
 
È solo nel '74 che si comincia a scendere in piazza e da fatto privato il femminismo diventa pubblico e chiede anche alla politica atti legislativi adeguati. Non sono mancate esagerazioni, la tutela della vita è diventata diritto all’aborto, ma non si possono celare la riforma del diritto di famiglia e la condanna del delitto d’onore. Le diatribe con il mondo cattolico sono note, ma forse la Chiesa per secoli ha sottolineato poco la reciprocità nel matrimonio, la responsabilità di entrambi i coniugi nei confronti di un figlio e quindi le battaglie politiche hanno diviso più che provare a sanare e capire i disagi. Certo guardare oggi alla libertà e alla dignità della donna attraverso i corpi siliconati in bikini che la tivù trasmette costantemente crea imbarazzo e sconcerto. Le donne che si sono battute per questi diritti si staranno rivoltando nella tomba e le superstiti, come i miei amici, si tureranno le orecchie al sol sentir parlare di otto marzo. Occorre riflessione e formazione e se per farlo serve una festa ben venga, i protagonisti sono però sia donne che uomini.
 
Mariana (Veneto)

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