Basta con il legno illegale
L’industria del legno è oggi uno dei settori industriali meno trasparenti. Penetra le foreste vergini alla ricerca di legni pregiati, apre chilometri di strade in ambienti incontaminati e non di rado agisce in modo illegale saccheggiando aree protette con un ricco campionario di sotterfugi che vanno dal taglio illegale alle licenze ottenute con la corruzione, dalla frode sul numero o la specie dei tronchi abbattuti all’evasione fiscale, dal riciclaggio di denaro sporco al traffico di armi, solo per citare i crimini più comuni.
La diffusione della corruzione e dell’illegalità nello sfruttamento delle foreste, come abbiamo ricordato recentemente attraverso un rapporto congiunto di Unep e Interpol, ha richiamato in questo settore gruppi criminali e più volte l’industria del legno è stata coinvolta nel finanziamento di sanguinose guerre civili.
Oggi secondo l’OCSE il giro d'affari legato ai traffici internazionali di legno illegale arriva ai 150 miliardi di dollari annui, con una perdita economica per il paese esportatore, che non beneficia dei guadagni e vede direttamente minacciata l’integrità delle proprie foreste e le condizioni di vita dei popoli e delle comunità che lo abitano.
Uno degli esempi più eclatanti lo troviamo nella Repubblica Democratica del Congo (RDC) dove secondo un recente rapporto pubblicato dal centro studi britannico Chatham House tra il 60 e l’80 per cento della deforestazione del Paese è da considerarsi illegale, il tasso più alto tra i paesi analizzati nel rapporto. Fermare il taglio illegale richiede una decisa azione da parte del Governo, ma secondo il rapporto di Chatham House, è proprio qui l’anello debole: “manca la volontà politica, mentre la corruzione regola l’intero settore”.
Il rapporto suggerisce al Governo congolese un cambiamento di rotta cominciando con il mantenere l’attuale moratoria sulle nuove concessioni di taglio industriale, una richiesta sostenuta da anni dalle associazioni ambientaliste e che il ministero dell’ambiente congolese nel nuovo programma nazionale sembra intenzionato a revocare.
“Il testo – ha segnalato l’osservatorio indipendente sulle foreste primarie Salva le Foreste – non indica una scadenza ben precisa, ma nel bilancio del 2014 sono già previsti i finanziamenti per le misure necessarie alla revoca della moratoria, mentre dal 2015 in poi è previsto un significativo aumento delle entrate di bilancio, come fosse previsto il rilascio di numerose nuove concessioni” e al momento poco sembrano poter fare le associazioni ambientaliste, che hanno presentato al Primo Ministro congolese una petizione con 22.788 firme raccolte nel Paese per richiedere il mantenimento della moratoria.
Ma il rapporto fornisce anche un avvertimento per paesi come l’Italia, quando afferma che “allo stato attuale, è improbabile che qualsiasi produzione di legname della RDC possa soddisfare i requisiti di dovuta diligenza richiesti dall’Unione Europea”. Per Salva le Foreste, infatti, “l’Italia è il secondo produttore di mobili in legno dell’Ue, ma importa circa l’80 per cento del legname impiegato e grandi quantità di carta e cellulosa. Le importazioni italiane coinvolgono molti paesi a rischio come la RDC, paesi in cui il taglio illegale raggiunge punte dell’80 per cento, dove vengono violati i diritti indigeni, dove guerre e dittature prosperano grazie al commercio di legname”.
Eppure da marzo 2013 l’Unione Europea vieta, con una puntuale normativa, le importazioni di legname e dei suoi derivati da qualsiasi Paese del mondo se proveniente dal taglio illegale e chiede agli operatori e alle autorità nazionali di verificare e punire chi commercia legname di origine controversa. Il Regolamento 995 conosciuto anche come European Union Timber Regulation (EUTR) è stato emanato proprio per contrastare il commercio illegale di legno e derivati, per tutelare le foreste del nostro Pianeta e porre un freno a irresponsabili processi di deforestazione che stanno cancellando i polmoni verdi della terra e compromettendo le risorse essenziali a tutte quelle comunità che da esse dipendono.
L’Autorità Competente italiana, il Ministero delle Politiche Agricole Alimentari e Forestali, è tenuta da questo regolamento a prendere misure necessarie a contrastare le importazioni di legno illegale, a effettuare ispezioni e, in presenza di casi sospetti, a mettere in quarantena i prodotti di origine controversa. Eppure nonostante in Consiglio dei Ministri avesse annunciato ancora nel maggio del 2014 l’attuazione della normativa europea per il contrasto al commercio del legno illegale “l’Italia fa orecchio da mercante e mantiene i sui porti spalancati alle importazioni di legname fraudolento.
Infatti – ha spiegato Salva le Foreste – il nostro Paese ancora non ha adottato le misure di implementazione della normativa europea: mancano le sanzioni e quindi, senza sanzioni, chiunque può continuare a importare senza timori legname di origine illegale o sospetta”. Si tratta di legnami dai nomi esotici, come Iroko, Wengé, Sapelli, Padouk, Ipé, Merbau, Teak o Azobè. Vengono da alberi centenari, quasi sempre pilastri della vita e degli ecosistemi forestali dei paesi d’origine.
In seguito a numerose sollecitazione da parte delle associazioni ambientaliste il Ministro Maurizio Martina aveva promesso lo scorso maggio il massimo impegno nell’applicazione dell’EUTR, ma il decreto legislativo è ancora bloccato. Ad oggi, quindi, l’Italia non ha alcuno strumento per controllare il mercato del legno e per combattere il traffico di legno illegale e il Governo, proprio durante la Presidenza del Consiglio dell'Unione Europea, consente ai legnami strappati alle preziose foreste del Congo, del Sud-est asiatico e dell’Amazzonica di entrare in Italia quasi senza controlli.
Forse come suggerisce Salva le Foreste l’Italia “dovrebbe impegnarsi realmente a stroncare il commercio di prodotti di origine illegale, investendovi almeno lo stesso impegno con cui difende i propri marchi nazionali dalle contraffazioni”. Se non altro perché “ce lo chiede l’Europa!”.
da Unimondo Alessandro Graziadei