Barre aperte, rap e teatro nelle carceri minorili
«Vorrei raccontare in maniera differente il carcere minorile e il ruolo che l’arte e nello specifico il rap possono avere per i ragazzi privati della libertà», così il rapper e scrittore Francesco “Kento” Carlo ci presenta il suo nuovo progetto Barre aperte, una webserie in 8 episodi in onda su Repubblica TV, per raccontare la vita, i sogni e le storie dei ragazzi sottoposti a provvedimenti penali.
«Da oltre 10 anni porto avanti laboratori di scrittura all’interno delle carceri minorili – ci racconta Kento – e il rap è un’arma straordinariamente efficace perché riesce a raccontare, come pochi altri mezzi di espressione, i dubbi, i sogni, la rabbia e le speranze che hanno questi ragazzi, mi bastano un computer portatile e una cassa bluetooth, il resto lo costruisco insieme a loro».
Ad aprirgli le porte questa volta sono stati l’istituto penale per minorenni Beccaria di Milano e quello di Airola, in provincia di Benevento, grazie all’impegno di CCO – Crisi Come Opportunità, Associazione Puntozero, e al supporto di Fondazione Alta Mane Italia.
In 8 episodi, della durata di circa 10 minuti ciascuno, Kento spalanca una finestra sulle attività artistiche che la compagnia teatrale Puntozero e il rapper napoletano Lucariello, portano avanti nei due istituti, ma protagonista non è il set, sono i giovani ragazzi che puntata dopo puntata si raccontano e si lasciano andare: «Quello che colpisce maggiormente è il loro desiderio di normalità, questi ragazzi sognano un lavoro, una famiglia e dei figli, qualcosa che non hanno mai vissuto». Sul palco i giovani si mettono in gioco, entrano in contatto con professionisti, ritrovano l’autostima perduta, muovono i primi passi verso la libertà accompagnati in un percorso di crescita da qualcuno che crede in loro e lavora per dargli una seconda possibilità.
Il bello e la forza di queste attività è anche in questo, i progetti coinvolgono sia i giovani detenuti che i ragazzi liberi, si crea così un’atmosfera di estrema normalità che aiuta ad abbattere le barriere: «Le sbarre che delimitano il carcere funzionano da entrambe i lati, tengono i ragazzi fuori dal mondo ma tengono anche il mondo fuori da quello che succede all’interno delle celle. Per dei ragazzi così giovani che hanno passato gran parte della loro vita in carcere, la paura non è lì dentro ma in quello che troveranno fuori una volta liberi, questo tipo di iniziative serve ad inserire i ragazzi nella società e a rendere quanto più semplice e naturale questo passaggio».
Perché Barre aperte? “Barre”, sono quelle di ferro della prigione, che delineano un confine tra il dentro e il fuori, ma le “barre” sono anche i versi del rap che in questo caso diventano un collegamento con il mondo esterno: «C’è una cosa che ripeto spesso ai ragazzi, se anche il loro corpo è rinchiuso la loro mente deve essere libera, una libertà che si può trovare attraverso la musica, il teatro, l’arte, lo sport ma mai porre limiti a se stessi».
Ecco, questa serie ha l’obiettivo di dare voce a dei giovani che spesso non sono stati ascoltati, perché le loro storie meritano di essere raccontate e perché i detenuti fanno parte della nostra comunità: «Il rap è anche questo, nei miei laboratori, per la prima volta, i ragazzi poggiano una penna su un foglio bianco e scrivono, ragazzi ai quali viene sempre detto quello che devono fare per una volta diventano quelli che dicono passando dal lato della capsula del microfono».
Barre, rime e flow si intrecciano a racconti drammatici e sorprendenti nel corso delle 8 puntate, con un finale aperto che lascia immaginare un prosieguo futuro in altre realtà italiane.